Ferruccio Merisi

 Ferruccio Merisi, che negli anni Settanta a Milano ha fondato un gruppo che ha fatto la storia del Terzo Teatro, il Teatro di Ventura. Nel ’90 a Pordenone fonda la Scuola Sperimentale dell’Attore. C’è in sala Claudia Contin Arlecchino, che lavora con lui, e che nella parte finale del pomeriggio farà una dimostrazione di lavoro. Vai Ferruccio. Grazie all’organizzazione per la dovizia di orologi qui sul tavolo. Avrò bisogno di tutti “loro”, perché a parlare in questo momento, dopo che ho sentito così tante cose, mi sento veramente “polifrenico”; tanti cervelli vorrebbero rispondere all’una o all’altra cosa, e speriamo bastino questi orologi appunto a dire a tutti i cervelli quando sarà ora di smettere. Già parlare di un argomento così delicato è come attraversare un torrente in piena saltando sui massi scivolosi. Adesso, con tutte le cose che ho sentito, è come se ad ogni masso si aprisse una prospettiva diversa. Mi sembra di essere in un mondo sballato dove vedi all’improvviso salite e discese dove prima credevi ci fossero dei laghi, eccetera. Speriamo che la fortuna mi faccia dire le cose più utili; perché di questo si tratta: cercare di dire cose utili. Per questo provo a parlare in… Continua a leggere

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Lorenzo Glejeses

I primi due frammenti che avete visto sono tratti da Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa e l’ultimo (con il copricapo di piume) è estratto da Corcovado. I lavori nascono da 58°Parallelo Nord, un progetto da me ideato grazie agli stimoli e all’impulso di Eugenio Barba, e prodotto dal Nordisk Teaterlaboratorium e dalla Gitiesse Artisti Riuniti. In 58°Parallelo Nord ho riunito, in una sorta di agone creativo, alcuni artisti anche molto diversi tra di loro in un processo di creazione comune in cui ogni sessione di lavoro sui materiali performativi composti era diretta da un diverso regista/coreografo, generando in tal modo una spirale, una migrazione continua dei materiali creati che si riverberavano e si trasformavano, confluendo così in un progetto di “opera comune”. A un certo punto però, è stato impossibile indulgere nell’esperimento e tenere insieme le diverse visioni sulle direzioni da imprimere alla creazione collettiva; così il lavoro è sfociato in due distinte formalizzazioni sceniche, da una parte Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, drammaturgia e regia di Eugenio Barba, Julia Varley e Lorenzo Gleijeses; dall’altra Corcovado, performance diretta da Luigi de Angelis e Michele Di Stefano. Le musiche di tutto il progetto sono composte ed eseguite… Continua a leggere

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Gabriele Vacis

Il Laboratorio Teatro Settimo è nato qualche anno dopo i gruppi storici del Terzo Teatro. Ma come molti gruppi in quegli anni, è spuntato in una periferia, a Settimo Torinese, appunto. Le periferie di Torino, al tempo, furono oggetto di un progetto del Teatro Stabile: il “decentramento”. Vuol dire che gruppi come Assemblea Teatro o il Teatro dell’Angolo battevano la banlieue piemontese con animazioni, performance e laboratori. Il protagonista del “decentramento” era Giuliano Scabia, che raccontò quell’esperienza in un libro che si intitolava Teatro nello spazio degli scontri. La carica “politica” di tutta quell’operazione era chiara già dal titolo. Per noi, insieme a Per un teatro povero di Grotowski, quel libro era il “vangelo”. Da azioni come il decentramento, che, in forme diverse, si sviluppavano in tutt’Italia, nacque un arcipelago di esperienze teatrali molto ricco. Era il brodo di coltura di quello che Eugenio Barba battezzò “Terzo Teatro”. L’idea che avevamo, al Teatro Settimo, era: cambieremo il destino di questa periferia invivibile e violenta. E lo faremo con il teatro. Progetto, più che ambizioso, temerario, e anche un po’ presuntuoso. Ma, quarant’anni dopo, credo di poter dire che ce l’abbiamo fatta: l’anno scorso Settimo Torinese, insignificante città-dormitorio, è stata candidata… Continua a leggere

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Clemente Tafuri

TRADIZIONI E SPREMITURE, di Clemente Tafuri   Il lavoro e occasioni come questa ci chiamano a fare i conti con la tradizione. E da qui è piuttosto inevitabile chiedersi cosa sia ancora vivo di quanto ci ha preceduti, cosa ha ancora la forza di dare nuova ispirazione. Esiste una lezione di cui continuare a essere testimoni considerando il tempo in cui viviamo? Le cose si connettono al loro tempo e in esso scoprono una parte delle loro motivazioni. Il perdurare immutabile è un mito pericoloso, troppo spesso una deriva irrazionalistica che allontana dal proprio tempo creando rifugi lontani, luoghi remoti da cui imbastire lotte con i propri fantasmi. È il pericolo che corrono tutti coloro che maneggiano i classici pensando che i classici parlino a loro quando in realtà non è affatto così. Questo dovrebbe rendere certe operazioni culturali più accorte. Pensare che il passato parli innanzitutto a se stesso e al proprio passato potrebbe evitare passi falsi e facili e superflue attualizzazioni. Ma è pur vero che la tradizione ci lascia tracce fondamentali, materiali che sopravvivono alla storia e non ne vengono sopraffatti. Tracce di una vita che non conosce compromessi, irriducibile e sostanza del fondo di ognuno. Non… Continua a leggere

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Armando Punzo

IL DOPPIO BINARIO, di Armando Punzo   Il punto di partenza del teatro, per me, è sempre “l’uomo ignobile”, l’essere umano avvinghiato alla vita. Immaginiamo di avere a disposizione una serie di manichini neutri che si utilizzano per il disegno e la pittura. Il primo manichino rappresenta quest’uomo poco nobile. Immaginiamo anche di corredare, lentamente, il modellino di legno di miriadi di cartellini con tutte le qualità che caratterizzano l’uomo. Il teatro per me nasce qui: dall’insoddisfazione di un uomo scontento di sé, che si muove, cerca continuamente, tende verso un altro sé possibile. Parto quindi da me, da un me compromesso dalla realtà, che si sforza di prendere le distanze dal reale che si porta dentro. Da questo tentativo disperato nasce l’attore. Anche sotto il manichino che rappresenta l’attore collochiamo allora molti cartellini per individuare le forme completamente diverse che può assumere, dal rito, alla rappresentazione, alla performance. Lo snodo che mi interessa è quello del passaggio dall’uno all’altro manichino, dall’uomo all’uomo-attore, tutti quei tentativi di essere assenti, di non essere più presenti per come ci si aspetta, di mancare alla conta. La ricerca in cui credo tende, infatti, all’oblio, che però non è mai fine a stesso, ma… Continua a leggere

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Marco Martinelli

Ringrazio Marco De Marinis e Roberta Ferraresi per questo invito. Non potevo non venire. Dovevo. E mi scuso in anticipo con tutti voi: avrei voluto seguire tutta la giornata, ma sono impegnato in questi giorni in un’impresa caotica, gioiosa, infernale, che mi costringerà ad ascoltare solo un paio di amici per poi tornare in fretta a Ravenna. Partirò da una citazione e un fatterello. La citazione è di Goethe: “ho sempre trovato il mondo più geniale del mio genio”. Al lato opposto – alfa e omega, zenit e nadir –, c’è il fatterello, avvenuto a Parigi mesi fa, che mi è stato raccontato così: un noto drammaturgo francese incontra un noto regista italiano, il noto drammaturgo francese curioso gli chiede: “ma senti, oggi, in Italia, chi c’è che lavora bene, cioè che lascia un segno, che insomma… delle personalità vere, oggi, nel teatro italiano?”. Il noto regista italiano ci pensa un attimo, o forse non ci pensa neanche un attimo, non eravamo lì, non possiamo saperlo se ci sia stato un momento, anche solo un impercettibile momento di sacro dubbio, sta di fatto che il noto regista italiano risponde perentorio così: “Nessuno. A parte me, nessuno.” La fonte è degna:… Continua a leggere

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Instabili Vaganti

DOVE LA PRESENZA EVOCA L’ASSENZA, di Instabili Vaganti   È singolare rievocare la nostra partecipazione al convegno Terzo Teatro: ieri, oggi, domani a un anno di distanza temporale e circa 6000 km di distanza spaziale. Ma ancora più particolare è scrivere il seguente intervento sul Terzo Teatro dopo aver incontrato da pochi minuti Eugenio Barba, alla National School of Drama di New Delhi, dove siamo stati invitati con il nostro spettacolo Made in Ilva a quello che quest’anno sembrerebbe essere uno dei più grandi e importanti eventi teatrali del mondo: le “8th Theatre Olympics” in India. Vedendo lo spettacolo dell’Odin in programma al festival, The Great Cities under the Moon, ho pensato subito a quanto il nostro teatro sia distante dal loro. Sentendo il discorso di Eugenio Barba durante il Word Theatre Forum, ho pensato invece a come vi sia qualcosa nel loro lavoro che empaticamente sentiamo appartenerci: una sorta di codice genetico dell’attore che ci accomuna. Come compagnia Instabili Vaganti non ci siamo mai sentiti a nostro agio in nessuna categoria o classificazione di genere. La nostra ricerca mira a scardinare le etichette, le scatole cinesi nelle quali la critica e il mercato teatrale vorrebbero incasellarci. Al Fringe di… Continua a leggere

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ErosAntEros – Davide Sacco e Agata Tomšic

Durante il nostro percorso abbiamo avuto la fortuna di avere come compagni di viaggio una nutrita schiera di maestri. Alcuni di loro li abbiamo conosciuti soltanto su carta, attraverso i libri. Altri attraverso le loro opere in video o dal vivo. Altri ancora li abbiamo conosciuti di persona e abbiamo avuto la fortuna di scambiare con loro idee e pensieri. Alla fonte di alcuni ci siamo abbeverati attraverso esperienze formative. Con altri abbiamo collaborato alla creazione di opere, condividendo una parte importante della nostra vita nel teatro. Tra tutti questi amici-maestri l’Odin è stato ed è sicuramente tra quelli che più sentiamo vicini e che più sono stati importanti nello sviluppo della nostra etica e poetica. In realtà non ci sentiamo di appartenere a un filone di teatro piuttosto che a un altro. Amiamo e sentiamo a noi vicini artisti diversi, senza rinnegare coloro che hanno lavorato nel sistema della stabilità o che si sono isolati nella sperimentazione più estrema. Non siamo e non vogliamo essere gli epigoni di nessuno ma a differenza di molti nostri coetanei non crediamo di essere orfani di padri. Al contrario, siamo convinti di avere molte sfere parentali attorno noi: padri, madri, sorelle, fratelli, amici,… Continua a leggere

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Renzo Filippetti

Devo confessare che sono venuto a quest’incontro un po’ prevenuto: temevo rischiasse di trattarsi di un’assemblea di combattenti e reduci. Tante volte si parla del Terzo Teatro al passato, come qualcosa che c’è stato e non c’è più, ma non è così. Dall’altro lato, mi ha colpito l’intervento di Gabriele Vacis, che cercava nel suo computer frammenti legati al Terzo Teatro. E ho pensato: non voglio finire in un computer, è veramente deleterio – siamo carne e sangue. Devo però ricordare che Gabriele Vacis ha scritto un importante libro “Awareness” (consapevolezza) sulla permanenza di Grotowski a Torino, riportando fedelmente quello che Grotowski diceva, una cosa rara perché normalmente quelli che parlano di Grotowski interpretano quello che lui ha detto. C’è un elemento di discrimine fondamentale da chiarire sul Terzo Teatro: è stato un’ipotesi strategica che i critici hanno trasformato in una corrente artistica, ma in realtà era anzitutto un modo di occupare un territorio ideato da quei gruppi che non si riconoscevano né nel teatro tradizionale né in quello d’avanguardia. Ho sempre pensato al Terzo Teatro come ad un accampamento beduino pieno di identità diverse tra loro ma accomunate da un unico bisogno: costruire una terra dove far germogliare le… Continua a leggere

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Pino Di Buduo

Questa importante manifestazione è un’occasione che ci riunisce, che ci fa incontrare e ci permette di scambiare le nostre ultime esperienze e soprattutto di riflettere sulla storia del Terzo Teatro, sulla nostra storia che ha aperto tante nuove possibilità per il mondo teatrale, che poi si sono affermate e oggi mi sembrano finalmente acquisite. Alcuni concetti, alcune pratiche, alcuni campi di ricerca prima non esistevano: è il Terzo Teatro che le ha introdotte insieme a tutto il grande movimento dei teatri di base dagli anni Settanta in poi. Ha introdotto, per esempio, in modo organico – proprio per la sua natura –, il rapporto con il territorio. A questo riguardo posso raccontare la storia del Teatro Potlach, che ho fondato insieme a Daniela Regnoli nel 1976 a Fara Sabina, un borgo medievale a pochi chilometri da Roma. A quell’epoca ero assistente alla cattedra di Tradizioni Popolari del prof. Diego Carpitella e alla cattedra di Antropologia Culturale del prof. Alberto Mario Cirese nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Pensavo a una carriera universitaria dedicata ai nuovi campi di ricerca scientifica applicati all’uomo, alle comunità, alle identità e alle tradizioni. In questi settori mi impegnavo molto, ma… Continua a leggere

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