A NEW YORK

[di Fabio Acca] La tappa di New York, nell’ottobre/novembre del 2019, costituisce per Carboni un importante momento di studio e di riflessione sugli aspetti fondanti la ricerca, ma anche di consolidamento progettuale, in ragione non solo degli incontri con luoghi e persone dell’ambito culturale cittadino, ma soprattutto per la necessaria qualità di sintesi dettata dall’esposizione insieme pubblica, teorica e performativa, realizzata dall’artista in alcuni momenti intermedi e a conclusione della residenza. Inizialmente Carboni si concentra sull’analisi delle strutture primarie e su come queste si collocano, nei prodromi della sua personale ricerca, in un contesto di elaborazione urbana, i cui esiti espone nel corso di una lecture alla New School (24 ottobre); poi a seguire approfondisce il lascito culturale della tradizione minimalista americana. L’oggetto di interesse verte, in particolare, sull’idea che tali forme innescano una relazione con lo spazio in funzione del loro posizionamento. Un principio che Carboni affronta anche in termini di indagine storica, in una full immersion di tre giorni, grazie alla consultazione presso il MoMA di materiali e documenti originali, realizzati in particolare in occasione della prima mostra minimalista, Primary Structures, nel 1966, al Jewish Museum di New York[1]. Se quello cartografico costituisce per Carboni un modello di… Continua a leggere

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IN SARDEGNA, IL RACCONTO DI UN ESPERIMENTO

[di Fabio Acca] È il 16 settembre del 2020. Arrivo nel pomeriggio alla Fattoria Alba, nei pressi di Guspini, nella Provincia del Medio Campidano. Mi attendono insieme alle persone coinvolte nel progetto Àmina, per un primo briefing con Alessandro Carboni. La fattoria è ancora un cantiere aperto. Fabio Atzeni, una cinquantina d’anni o poco meno, gestore pressoché unico, ci spiega che mancano ancora alcuni dettagli prima che possa veramente partire, e ci mostra subito con orgoglio alcuni ambienti già attrezzati per le attività didattiche, che qui significa, per esempio, molto concretamente, fare il formaggio. Infatti, la fattoria è pensata proprio per far conoscere meglio, soprattutto ai più giovani, ma non solo, in una dimensione pratica e partecipativa, le tradizioni legate al mondo agro-pastorale, al cibo, alla cucina tradizionale e, più in generale, al rapporto con la natura e l’ambiente. Fabio e Alessandro si conoscono da una vita, fin dai tempi della scuola. Militavano già venti anni fa, col musicista Danilo Conti, in O-Uroboros, una formazione artistica dedita alla sperimentazione dei linguaggi performativi. In uno dei loro primi lavori, Prometeo o viaggio nel regno del (non) ritorno (2001), Alessandro, imbiaccato come un maestro butoh, costruiva una partitura fisica isolazionista in uno… Continua a leggere

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“AMLETO” DELLA COMPAGNIA DELLA FORTEZZA, VENT’ANNI DOPO. Il processo creativo ricostruito a partire dal materiale d’archivio digitale

[di Valeria Venturelli]   Il Fondo – Archivio Compagnia della Fortezza Nel 1988, con il suo ingresso nella Casa di Reclusione di Volterra e la fondazione della Compagnia della Fortezza, oggi la più longeva esperienza di Teatro Carcere in Italia, Armando Punzo ha scritto – e scrive tuttora – una pagina della storia del teatro contemporaneo. Una storia che è conservata e tramandata nelle memorie di attori, tecnici, collaboratori e spettatori, negli articoli di studiosi e critici, nelle fotografie di Maurizio Buscarino e Stefano Vaja, negli spazi del carcere trasformati gradualmente dall’arte che da oltre trent’anni li abita.E, come tutte le storie, nelle fonti documentarie.La Compagnia della Fortezza dispone di due archivi: uno cartaceo conservato presso la sede di Carte Blanche a Volterra e un archivio digitale, conservato presso il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna e in duplice copia alla sede di Carte Blanche a Volterra. Quest’ultimo, il “Fondo-Archivio Compagnia della Fortezza”, è costituito dalla documentazione audiovisiva relativa agli spettacoli diretti da Armando Punzo, comprensivi di tutte le prove e le repliche documentate, assemblaggi di materiali di terzi utilizzati a fini di studio e servizi giornalistici. L’archivio digitale è il risultato del “Progetto di riordino e valorizzazione dell’Archivio della… Continua a leggere

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CT #29 – 2020

Il numero 29 di «Culture Teatrali» si articola in tre parti, con due sezioni monografiche. La prima, Teatrodomani. Prospettive della scena all’epoca del Covid-19, a cura di Marco De Marinis, ospita una serie di testimonianze e riflessioni sulle arti performative durante e subito dopo l’emergenza sanitaria legata alla pandemia da Covid-19, componendo un percorso corale a cui prendono parte artisti, operatori e studiosi italiani e internazionali. La seconda, Per Carlo Quartucci, a cura di Silvia Mei, è costituita da un dossier dedicato a Carlo Quartucci, uno dei pionieri e dei maggiori protagonisti del Nuovo Teatro italiano, scomparso nel dicembre dello scorso anno. Completa l’Annale 2020 una corposa sezione di studi, che attraversano momenti particolarmente significanti nella storia dello spettacolo vivente dal XX secolo a oggi: da Giuliano Scabia, poeta, drammaturgo e narratore, altro padre fondatore del nostro Nuovo Teatro, alle emergenti sperimentazioni sul “teatro dei robot”, fra Oriente e Occidente; dalla relazione fra i coetanei Federico Fellini e Gerardo Guerrieri (con due strepitosi articoli del secondo sul primo, risalenti agli anni Settanta), a un meditato rilancio critico-storiografico del “Terzo Teatro”, o “Teatro dei gruppi”. Completano questa sezione un contributo che si propone di focalizzare un passaggio cruciale nelle scritture critiche del Novecento teatrale, intorno al Sessantotto,… Continua a leggere

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Ferruccio Merisi

 Ferruccio Merisi, che negli anni Settanta a Milano ha fondato un gruppo che ha fatto la storia del Terzo Teatro, il Teatro di Ventura. Nel ’90 a Pordenone fonda la Scuola Sperimentale dell’Attore. C’è in sala Claudia Contin Arlecchino, che lavora con lui, e che nella parte finale del pomeriggio farà una dimostrazione di lavoro. Vai Ferruccio. Grazie all’organizzazione per la dovizia di orologi qui sul tavolo. Avrò bisogno di tutti “loro”, perché a parlare in questo momento, dopo che ho sentito così tante cose, mi sento veramente “polifrenico”; tanti cervelli vorrebbero rispondere all’una o all’altra cosa, e speriamo bastino questi orologi appunto a dire a tutti i cervelli quando sarà ora di smettere. Già parlare di un argomento così delicato è come attraversare un torrente in piena saltando sui massi scivolosi. Adesso, con tutte le cose che ho sentito, è come se ad ogni masso si aprisse una prospettiva diversa. Mi sembra di essere in un mondo sballato dove vedi all’improvviso salite e discese dove prima credevi ci fossero dei laghi, eccetera. Speriamo che la fortuna mi faccia dire le cose più utili; perché di questo si tratta: cercare di dire cose utili. Per questo provo a parlare in… Continua a leggere

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Lorenzo Glejeses

I primi due frammenti che avete visto sono tratti da Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa e l’ultimo (con il copricapo di piume) è estratto da Corcovado. I lavori nascono da 58°Parallelo Nord, un progetto da me ideato grazie agli stimoli e all’impulso di Eugenio Barba, e prodotto dal Nordisk Teaterlaboratorium e dalla Gitiesse Artisti Riuniti. In 58°Parallelo Nord ho riunito, in una sorta di agone creativo, alcuni artisti anche molto diversi tra di loro in un processo di creazione comune in cui ogni sessione di lavoro sui materiali performativi composti era diretta da un diverso regista/coreografo, generando in tal modo una spirale, una migrazione continua dei materiali creati che si riverberavano e si trasformavano, confluendo così in un progetto di “opera comune”. A un certo punto però, è stato impossibile indulgere nell’esperimento e tenere insieme le diverse visioni sulle direzioni da imprimere alla creazione collettiva; così il lavoro è sfociato in due distinte formalizzazioni sceniche, da una parte Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, drammaturgia e regia di Eugenio Barba, Julia Varley e Lorenzo Gleijeses; dall’altra Corcovado, performance diretta da Luigi de Angelis e Michele Di Stefano. Le musiche di tutto il progetto sono composte ed eseguite… Continua a leggere

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Gabriele Vacis

Il Laboratorio Teatro Settimo è nato qualche anno dopo i gruppi storici del Terzo Teatro. Ma come molti gruppi in quegli anni, è spuntato in una periferia, a Settimo Torinese, appunto. Le periferie di Torino, al tempo, furono oggetto di un progetto del Teatro Stabile: il “decentramento”. Vuol dire che gruppi come Assemblea Teatro o il Teatro dell’Angolo battevano la banlieue piemontese con animazioni, performance e laboratori. Il protagonista del “decentramento” era Giuliano Scabia, che raccontò quell’esperienza in un libro che si intitolava Teatro nello spazio degli scontri. La carica “politica” di tutta quell’operazione era chiara già dal titolo. Per noi, insieme a Per un teatro povero di Grotowski, quel libro era il “vangelo”. Da azioni come il decentramento, che, in forme diverse, si sviluppavano in tutt’Italia, nacque un arcipelago di esperienze teatrali molto ricco. Era il brodo di coltura di quello che Eugenio Barba battezzò “Terzo Teatro”. L’idea che avevamo, al Teatro Settimo, era: cambieremo il destino di questa periferia invivibile e violenta. E lo faremo con il teatro. Progetto, più che ambizioso, temerario, e anche un po’ presuntuoso. Ma, quarant’anni dopo, credo di poter dire che ce l’abbiamo fatta: l’anno scorso Settimo Torinese, insignificante città-dormitorio, è stata candidata… Continua a leggere

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Clemente Tafuri

TRADIZIONI E SPREMITURE, di Clemente Tafuri   Il lavoro e occasioni come questa ci chiamano a fare i conti con la tradizione. E da qui è piuttosto inevitabile chiedersi cosa sia ancora vivo di quanto ci ha preceduti, cosa ha ancora la forza di dare nuova ispirazione. Esiste una lezione di cui continuare a essere testimoni considerando il tempo in cui viviamo? Le cose si connettono al loro tempo e in esso scoprono una parte delle loro motivazioni. Il perdurare immutabile è un mito pericoloso, troppo spesso una deriva irrazionalistica che allontana dal proprio tempo creando rifugi lontani, luoghi remoti da cui imbastire lotte con i propri fantasmi. È il pericolo che corrono tutti coloro che maneggiano i classici pensando che i classici parlino a loro quando in realtà non è affatto così. Questo dovrebbe rendere certe operazioni culturali più accorte. Pensare che il passato parli innanzitutto a se stesso e al proprio passato potrebbe evitare passi falsi e facili e superflue attualizzazioni. Ma è pur vero che la tradizione ci lascia tracce fondamentali, materiali che sopravvivono alla storia e non ne vengono sopraffatti. Tracce di una vita che non conosce compromessi, irriducibile e sostanza del fondo di ognuno. Non… Continua a leggere

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Armando Punzo

IL DOPPIO BINARIO, di Armando Punzo   Il punto di partenza del teatro, per me, è sempre “l’uomo ignobile”, l’essere umano avvinghiato alla vita. Immaginiamo di avere a disposizione una serie di manichini neutri che si utilizzano per il disegno e la pittura. Il primo manichino rappresenta quest’uomo poco nobile. Immaginiamo anche di corredare, lentamente, il modellino di legno di miriadi di cartellini con tutte le qualità che caratterizzano l’uomo. Il teatro per me nasce qui: dall’insoddisfazione di un uomo scontento di sé, che si muove, cerca continuamente, tende verso un altro sé possibile. Parto quindi da me, da un me compromesso dalla realtà, che si sforza di prendere le distanze dal reale che si porta dentro. Da questo tentativo disperato nasce l’attore. Anche sotto il manichino che rappresenta l’attore collochiamo allora molti cartellini per individuare le forme completamente diverse che può assumere, dal rito, alla rappresentazione, alla performance. Lo snodo che mi interessa è quello del passaggio dall’uno all’altro manichino, dall’uomo all’uomo-attore, tutti quei tentativi di essere assenti, di non essere più presenti per come ci si aspetta, di mancare alla conta. La ricerca in cui credo tende, infatti, all’oblio, che però non è mai fine a stesso, ma… Continua a leggere

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