TEATRO CIVILE E SACRA RAPPRESENTAZIONE: SU ALCUNE TRAGEDIE DI ENRICO PEA

[di Itala Tambasco]   Pea affiancò costantemente l’attività di drammaturgo e di promotore di spettacoli a quella di romanziere e di poeta. Il teatro è lo strumento espressivo al quale si affidò per tutta la vita, complici le memorie dell’infanzia legate agli spettacoli dei maggi, la suggestione delle fole e degli strambotti della letteratura popolare che fu un’importante fonte d’ispirazione per lo scrittore versiliese. Delle sue fatiche teatrali la critica, Montale in primis, lamentò un giudizio alquanto “al ribasso” per «un uomo a cui mancò ogni forma di engagement, sia nella politica che nella cricche letterarie» (1965: 11; cfr. Del Beccaro, 1954). In Egitto, dove si trasferì nel 1896, iniziò la sua attività di fabbricante di mobili, costantemente intervallata dalla frequentazione della Baracca Rossa, luogo d’incontro di ribelli, idealisti ed emarginati (Bettini, 1976: 81-88) destinata a diventare celebre per il ruolo giocato nella vita di molti intellettuali fra cui l’amico Ungaretti, decisivo per il contatto con i fratelli e scrittori francesi, Leone ed Enrico Thuile ai quali lo affidò affinché lo consigliassero al meglio per l’ideazione del copione incentrato sul tradimento di Giuda, male accolto dallo stesso poeta che non riteneva la drammatizzazione il codice più idoneo all’idea peiana. Rientrato… Continua a leggere

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QUANDO IL DOLORE DIVENTA MASCHERA. Il teatro di Niccolò Campani come dispositivo di cittadinanza

[di Ilenia Del Gaudio]   Pubblicato a Venezia per Nicolò Zoppino nel 1521, il Lamento di quel tribulato di Strascino Campana Senese sopra el male incognito: el quale tratta de la Patientia, & impatientia in ottava rima: opera molto piacevole è l’unica opera di Niccolò Campani stampata a sua cura con una esplicita assunzione di autorialità, a conclusione di un lungo processo compositivo e performativo. Si tratta di un poemetto di 173 stanze, che racconta, con toni diversi, la disperata lotta del protagonista-narratore verso la malattia contratta nel 1503, il “mal francese”[1], il dolore fisico provato, i molteplici rimedi adottati e, infine, l’avvenuta guarigione, registrata all’altezza del 1511. Dal punto di vista contenutistico, il racconto autobiografico, che vede riferimenti alla cronaca coeva, si dipana tra invocazioni religiose e invettive quasi blasfeme; dal punto di vista formale, invece, l’opera è alquanto singolare nel panorama della produzione letteraria, poiché contiene stilemi propri della poesia narrativa e strutture tipiche dell’avviso[2], tradizione marcatamente popolare da cui solo molto tardivamente l’autore si distacca, quando, cioè, convertirà l’opera canterina in forma di libro. In origine, il Lamento rappresentava, infatti, la sua performance più fortunata, sperimentata a Roma fin dal 1508, quando, già ammalato, decise di porre… Continua a leggere

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PER UNA CRITICA «INDULGENTE» A UNA SOCIETÀ DI STAMPO BORGHESE: il teatro di Sabatino Lopez tra «morale assoluta» e «morale che corre»

[di Alessia Russo]   Sabatino Lopez è interprete camaleontico – in virtù del proprio status sociale – e sui generis della società borghese di fine Ottocento, tanto da posizionarsi, a buon diritto, in quel circolo di autori che hanno interpretato, indagato e descritto il sistema di valori che fu, di quella società, vessillo inconfondibile e caratterizzante (Possenti, 1920: 94)[1]. Entrando in medias res, sembra necessario spendere qualche parola intorno alla definizione di “natura ambivalente”, dote che il nostro autore ammirava anche nella performance teatrale, rendendo omaggio alla capacità d’essere uno e molti, conquistando così l’intero pubblico in sala (Giovanelli, 2003); chiarezza espositiva, duttilità di linguaggio, iterazione di temi, sono soltanto alcuni degli strumenti con cui l’autore sintetizza – apparentemente, s’intende – l’amarezza latente di uno sguardo lucido e sapiente con «la simpatia per l’arte semplice» (Possenti, 1920: 95), la «buona signora (ma non molto)» (ivi: 98), metafora interpretativa di cui ci informa Possenti e che sembra ricalcare il Così è (Se vi pare) di pirandelliana memoria. Il Lopez chiarisce, attraverso la critica alla leziosità creativa del D’Annunzio, la necessità di verità e schiettezza contro parole e idee «artificiose» e «fuori della naturalezza e della verità» (Giovanelli, 2003: 47). Si forma… Continua a leggere

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LA FUNZIONE CIVILIZZATRICE DEGLI ESULI TEBANI DI FRANCESCO MARIO PAGANO

[di Federica Maria Buono]   Nella seconda metà del Settecento sulle scene del teatro italiano ritornò in auge la compostezza classica. All’indomani della fondazione dell’Arcadia (1690), non troviamo quasi nessun letterato che non prenda le distanze dal secolo precedente, considerato corrotto e licenzioso; ciò avrà come conseguenza la formalizzazione di nuove forme tragiche, attraverso la ripresa dei principi espressi all’interno della Poetica di Aristotele, nonché la nascita della storia del teatro come storia dei generi drammatici (Guccini, 1988: 9-66). Dagli anni Settanta del Settecento si iniziò a dare una maggiore articolazione progettuale al teatro, data la sempre crescente sensibilità civile da parte degli intellettuali, che vedeva nelle manifestazioni pubbliche importanti occasioni per formare la comunità dal punto di vista culturale. Nel complesso, il teatro del Settecento si delinea come l’insieme di culture e prassi differenti, che generano manifestazioni sceniche o letterarie che influenzano il contesto in modo discontinuo ma netto, come ad esempio fa Alfieri, o finiscono col modificarlo radicalmente, basti pensare alle rappresentazioni tragiche con la partecipazione di attori professionisti, con Riccoboni (Tessari, 1995: 3-51), Miti e Zanarini. A Napoli i Borboni si impegnarono enormemente per la riorganizzazione del teatro (Greco, 1981): dalla programmazione, la stipula dei contratti tramite l’impresario… Continua a leggere

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«L’ARTE COSÌ DETTA EDUCATIVA NON GIOVA NEMMENO AL POPOLO»: la intrinseca politicità del teatro di Sem Benelli

[di Simona Bordasco]   «Sentii che per essere scrittore di teatro bisognava avere una missione: voleva dire di essere apostoli, materni, creativi, rivoluzionari, politici anche» (Benelli, 1933: 10). Così, tra le pagine del periodico «Comoedia», rievocava gli sviluppi della sua vocazione al teatro il pratese Sem Benelli, la cui produzione risulta poco frequentata dalla critica odierna. La ricognizione testuale tentata quasi un decennio fa (Tomassini, 2015) riscontra ancora poco seguito tra gli italianisti (Palumbo, 2020), mentre un resoconto biografico è venuto dagli ambienti storiografici con l’intento, piuttosto, di ricostruire la storia della cultura e politica italiana del primo Novecento (Antonini, 2012). Altrettanto scarsamente noto risulta Benelli al grande pubblico, se non per La cena delle beffe, la sua pièce più acclamata, rimasta tale a distanza di anni dal debutto al Teatro Argentina di Roma nel 1909, anche quando fu riportata in scena nel 1924 con la musica di Umberto Giordano. Tradotta in varie lingue, lo consacrò come drammaturgo a livello internazionale, procurandogli quell’unanime consenso dei recensori che è rimasto un episodio raro nella sua prolifica carriera e ad essa è associato oggi il suo nome, complice da un lato la trasposizione cinematografica diretta da Alessandro Blasetti nel 1942, e dall’altro… Continua a leggere

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RODOLFO SANTANA: TWO CONTINENTS, ONE LEGACY

[by Kala Fuenmayor and Angelo Romagnoli] The internationally renowned Venezuelan playwright and theatre director Rodolfo Santana was born on October 25th, 1944, in Guarenas, a humble dormitory town in the outskirts of Caracas, Venezuela. He was one of six brothers. The main influences in his early life were his mother, Aura Salas, a teacher, and his grandfather, Antonio Salas. Both nurtured his humane and intellectual growth and gave him access to his grandfather’s library filled with tomes by Shakespeare, Dumas, Proust, Verne, Gallegos, and many other national and international authors. In his sixty-eight years of life, and in a playwriting career which started at 17, he wrote no less than eighty-four plays. Santana himself commented on his prolificity: In Venezuela, there’s this concept that I possess an unbeatable prolific capacity. I am a drama stud, according to comments. A playwright that rides the creative cow and writes a play every day. That is false. I write very slowly, that is why I cannot work for television, it is emerging. I cannot be emergent, even if I write a horrendous play. I am a gardener, and every play takes me at least five years. A clear example of my truth is… Continua a leggere

NICOLA SAVARESE (1945-2024): UNO STUDIOSO-ARTISTA

[di Marco De Marinis] La cultura teatrale italiana piange Nicola Savarese, scomparso a Roma il 20 giugno a settantotto anni. Savarese è stato uno dei più importanti studiosi di teatro della seconda metà del Novecento, molto noto anche all’estero. Ma in realtà, nel suo caso, la definizione di studioso risulta riduttiva e generica. Perché nelle sue ricerche, rigorose e originali, egli metteva sempre in gioco tutte le sfaccettature della sua complessa personalità e la molteplicità dei suoi svariati interessi, fra teoria e pratica. Da giovanissimo fu pittore, nell’atelier di Renato Guttuso. Pochi anni dopo, folgorato dall’incontro con Eugenio Barba, fondò un gruppo teatrale (Teatro Arcoiris), nel quale si cimentava anche come attore. Il gruppo durò poco, mentre il rapporto con Barba non si è mai interrotto da allora. Insieme hanno composto due libri di grande valore e vastissima diffusione. In particolare il primo, L’arte segreta dell’attore. Dizionario di antropologia teatrale (Edizioni di Pagina), tradotto in decine di lingue in tutto il mondo e la cui prima versione era apparsa per i tipi de La casa Usher nel 1983 col titolo Anatomia del teatro. Come studioso aveva debuttato da rinascimentalista, dedicandosi in particolare a una innovativa catalogazione delle tragedie del Cinquecento.… Continua a leggere

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IO È UN ALTRO: UN INCONTRO CON ENZO MOSCATO

[di Manlio Marinelli] Quando nell’agosto del 1995 Enzo Moscato mi concesse l’intervista di seguito trascritta[1] era reduce dall’esperienza di Recidiva alla Biennale Teatro appena due mesi prima, il 18 giugno, e si trovava nel pieno di una delle fasi maggiori della sua ricerca teatrale e drammaturgica[2]. Vincitore del premio Riccione nel 1995, dell’UBU nel 1988 e nel 1994, solo un anno prima di questo dialogo, era già considerato un punto di riferimento per la sua generazione teatrale e per i giovani che si affacciavano al teatro in quegli anni. In quel periodo stavo cercando di preparare uno studio, mai realizzato, sulla drammaturgia italiana contemporanea e per circa un anno avevamo avuto alcune conversazioni informali ogni volta che si trovava a Palermo per uno spettacolo. Quell’estate mi chiese di scegliere e mettere per iscritto le domande che ritenevo più “interessanti” e alle quali avrebbe risposto, in modo che il suo pensiero, rispetto ad alcuni temi centrali su cui ci eravamo confrontati in quel periodo, fosse fissato in modo chiaro. Così nacque questa intervista, che è rimasta finora inedita e che mi pare interessante pubblicare a breve distanza dalla sua scomparsa, in quanto consente alcune riflessioni centrali rispetto al suo cammino di… Continua a leggere

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IL SENSO DELL’ALTROVE TRA POESIA E PERFORMANCE. Su “Cronicario” di Dario Tomasello

[di Annamaria Sapienza]   Che la Sicilia sia tra le terre più affascinanti e misteriose del Mediterraneo non è certo una rivelazione, ma che ogni città dell’isola rivendichi un’identità specifica in ogni suo aspetto meriterebbe un’attenzione particolare, ovvero, un’immersione nelle radici e nei trascorsi che distingue un luogo dall’altro con orgogliosa coscienza di sé. Tale principio costituisce la premessa alla lettura di Cronicario, poema d’esordio di Dario Tomasello (Marsilio, 2023), che si nutre di un’appartenenza territoriale e culturale che diventa volano dell’invenzione lirica. Da lungo tempo docente universitario prima di Letteratura Italiana e poi di Discipline dello Spettacolo, Dario Tomasello ha sempre unito la fascinazione letteraria agli studi teatrali, concentrati soprattutto sulla performance. In tale ambito occorre almeno citare la traduzione operata da Tomasello del manuale di Richard Schechner, Introduzione ai Performance Studies (CUE Press, 2018), che costituisce una guida ineludibile per questo filone di studi. Sullo stesso versante, ma con una curvatura opportunamente direzionata, lo studioso ha poi pubblicato il volume Playtelling. Performance narrative nell’Italia contemporanea (Marsilio, 2021) intercettando casi letterari nei quali la consistenza e l’efficacia della scrittura si realizza nel suo accadere, nel suo diventare suono e materia. La scelta di citare, tra i tanti contributi scientifici… Continua a leggere

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LA METAMORFOSI NEL TEATRO VIVENTE. L’Ovidio post-antropocentrico di Manuela Infante e di O Thiasos TeatroNatura

[di Laura Budriesi] Ovidio introdusse nella lingua latina il termine greco metamorphosis. Alla fine del XVI secolo il naturalista Thomas Muffet lo utilizzò in ambito biologico in un’opera dedicata agli insetti, maestri della diversificazione (Coccia, 2020). L’idea che la forma non sia data una volta per tutte è stata affrontata in egual misura dal mito, dalla filosofia, come dal pensiero scientifico ed è centrale in molte epistemologie non occidentali che, per essere comprese da noi, devono prevedere una «torsione dei nostri stessi strumenti concettuali, una nostra metamorfosi» (Mangiameli, 2022: 265). L’idea della metamorfosi, del labile confine umano/animale, pervade la storia della letteratura drammatica; dagli enigmatici cori animali delle commedie greche, di cui restano testimonianze nei titoli di molte opere perdute (Rothwell, 2007), alle superstiti commedie aristofanee (Le Rane, Gli Uccelli, Le Vespe), transitando per Shakespeare del Sogno di una notte di mezza estate (1595 ca.) fino a Il Rinoceronte di Ionesco (1959), per citare soltanto alcuni esempi paradigmatici. Inoltre, significativamente, fabulae allegoriche ispirate alle Metamorfosi di Ovidio ritornano in alcune forme teatrali di età umanistica all’alba della reinvenzione del teatro e permangono per secoli nel teatro moderno (Budriesi, 2020). La filosofia postumanista (cfr. Braidotti, 2014; Haraway, 1999, 2019, 2020; Marchesini,… Continua a leggere

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