LA METAMORFOSI NEL TEATRO VIVENTE. L’Ovidio post-antropocentrico di Manuela Infante e di O Thiasos TeatroNatura

[di Laura Budriesi]

Ovidio introdusse nella lingua latina il termine greco metamorphosis. Alla fine del XVI secolo il naturalista Thomas Muffet lo utilizzò in ambito biologico in un’opera dedicata agli insetti, maestri della diversificazione (Coccia, 2020). L’idea che la forma non sia data una volta per tutte è stata affrontata in egual misura dal mito, dalla filosofia, come dal pensiero scientifico ed è centrale in molte epistemologie non occidentali che, per essere comprese da noi, devono prevedere una «torsione dei nostri stessi strumenti concettuali, una nostra metamorfosi» (Mangiameli, 2022: 265).

L’idea della metamorfosi, del labile confine umano/animale, pervade la storia della letteratura drammatica; dagli enigmatici cori animali delle commedie greche, di cui restano testimonianze nei titoli di molte opere perdute (Rothwell, 2007), alle superstiti commedie aristofanee (Le Rane, Gli Uccelli, Le Vespe), transitando per Shakespeare del Sogno di una notte di mezza estate (1595 ca.) fino a Il Rinoceronte di Ionesco (1959), per citare soltanto alcuni esempi paradigmatici. Inoltre, significativamente, fabulae allegoriche ispirate alle Metamorfosi di Ovidio ritornano in alcune forme teatrali di età umanistica all’alba della reinvenzione del teatro e permangono per secoli nel teatro moderno (Budriesi, 2020).

La filosofia postumanista (cfr. Braidotti, 2014; Haraway, 1999, 2019, 2020; Marchesini, 2002; Wolfe, 2009) postula l’idea di umanità in divenire, in continuità ontologica con gli altri animali e l’ambiente, con i quali tende a ibridarsi, così come le scienze biologiche hanno da tempo abbandonato l’idea di organismi ambientalmente indipendenti. Già Darwin ne L’origine delle specie (1859) aveva affermato che le specie sono tra di loro in un rapporto genealogico ovvero che non sono entità fisse ma configurazioni effimere, instabili. Quindi considerarne il rapporto non nei termini teleologici di una evoluzione, ma in quelli dell’equivalenza, significa affermare che «ognuna di queste forme ha lo stesso peso, la stessa importanza e lo stesso valore, la metamorfosi è il principio di equivalenza di tutte le nature, e il processo che permette di produrre tale equivalenza» (Coccia, 2020: 13). La metamorfosi è la condizione stessa della vita: ogni essere vivente è allo stesso tempo una pluralità di forme e ciascuna di esse non esiste in maniera completamente autonoma. L’ibridazione ha avuto un ruolo cruciale non solo nell’origine della vita ma nella storia evolutiva di diversi gruppi di animali, si vedano le ricerche della biologa Lynn Margurlis sulla simbiogenesi, relativa a organismi che divengono insieme, gli olobionti, che sono simbionti l’uno per l’altro e vanificano la distinzione tra ospite e ospitante (Haraway, 2019). La non separabilità tra viventi a livello ontologico è un concetto di Haraway che parla di divenire-con le specie compagne: «se l’essere è la relazionalità interspecie le specie compagne non esistono mai del tutto separatamente: le vite che s’incontrano e si trasformano e divengono insieme si infettano a vicenda, lo fanno in continuazione» (Timeto, 2020: 71).

Le narrazioni multispecie, materia vivente dei due esempi teatrali che si andranno a investigare, si muovono nel piano del mito, rivisto in chiave postumana: Le Metamorfosi di Ovidio sono ispirazione per Manuela Infante come per Sista Bramini di O Thiasos TeatroNatura. Sia che lo spettacolo si snodi nel paesaggio naturale, come nel caso del TeatroNatura, sia che sia dislocato nello spazio antropocentrico del teatro, secondo la scelta di Manuela Infante, si vuole qui sottolineare come le narrazioni mitologiche ovidiane − che indubbiamente contengono forti rimandi a una cultura patriarcale − abbiano rappresentato per entrambe le artiste la possibilità di una lettura centrata su un consistente ripensamento di alcuni capisaldi su cui la cultura occidentale si fonda fin dalle sue origini greco-latine: l’antropocentrismo con il suo portato logocentrico e la conseguente separazione tra uomo e animale. Questa scelta risulta ispirata dagli stessi miti in cui, come sottolinea Bramini, è ancora depositata traccia del passaggio traumatico dalla cultura neolitica della Grande Madre a quella patriarcale, culture ancora compresenti, seppur in modo doloroso, ne Le Metamorfosi di Ovidio [1].

 

L’Ovidio postumano di Manuela Infante

Manuela Infante drammaturga e regista teatrale, e anche filosofa e musicista cilena, ha fondato nel 2001 la compagnia Teatro de Chile e ora è una delle voci più originali nel panorama internazionale. Per i suoi lavori si è ispirata all’actor-network theory di Bruno Latour e al suo concetto di attante che prevede un attore che può essere umano come non umano (2005), al materialismo vitale di Jane Bennet (2023) e al postumanesimo di Donna Haraway (1999; 2019; 2020). Il suo punto di partenza non è mai una drammaturgia scritta ma teorie filosofiche, partendo appunto da questi quesiti inizia il lavoro creativo con attori e scenografi. Il palcoscenico diventa per lei luogo di una teoria incarnata per immaginare un teatro non antropocentrico e studiare come viene creata la frattura tra umani, animali, vegetali e anche oggetti.

In Zoo (2013) ha esplorato gli zoo umani, l’animalizzazione dell’altro; con Realismo (2016) ha ideato un’opera per oggetti, indagine sul grado di indipendenza delle cose dagli umani. Per superare le insidie politiche del “parlare per gli altri”, tipico di un teatro documentario ingenuo, ha esplorato altri modi per lavorare con i non umani sul palco. Postumanesimo significa per Infante trovare un modo situato di performare l’altro: essere l’altro imitando la sessilità delle piante, la loro struttura ramificata, il loro essere moltitudini e quindi far sì che in Estado vegetal (2017) la performer Marcela Salinas [2] diventasse un soggetto multivocale, che riverberasse semplicemente le voci, come fosse una grotta, per una recitazione polifonica come atto politico. Percorso simile è quello attuato in Metamorphoses (2020), dove Infante fa della riflessione sul linguaggio, sulla voce, sulla disarticolazione del suono il cuore del suo teatro non antropocentrico. Tornando al poema ovidiano ritroviamo mondo umano, divino, animale e naturale che coesistono senza un confine definito. Nel primo libro si racconta di ninfe come Dafne, Siringa, Io, che fuggono da uomini che vogliono possederle e che per riuscire a farlo diventano di volta in volta fonti, alberi, animali. La ninfa Dafne chiede di essere liberata da ciò che la rende desiderabile, il proprio corpo di donna; per sfuggire ad Apollo chiede di poter mutare forma e diventa pianta di alloro «torpore profondo le invade le membra,/ di tenera corteccia si fascia il delicato busto,/ le chiome si dilatano in fronde, le braccia in rami;/ sino ad allora così veloci, i piedi si fissano in immobili radici;/ un’arborea chioma le copre la testa, soltanto il fulgore di lei sopravvive» (Ovidio, Le Metamorfosi, I, vv. 548-552). Infante e De Cock creano per Metamorphoses una drammaturgia originale che trova il punto di partenza in queste (quelle) storie, ma la sensibilità con cui quelle trasmutazioni vengono ri-lette le ri-connette al pensiero postumanista e femminista: «Ovidio era già postumano ai suoi tempi. Ha trovato un’anima in una moltitudine di cose. Quel libro emana una grande consapevolezza del mondo in tutta la sua diversità e tuttavia rivendica una certa umiltà per l’umanità all’interno di quella costruzione» [3]. Nella drammaturgia di Infante e De Cock viene enfatizzato un tema presente in Ovidio: spesso l’uomo, il maschio, è allo stesso tempo un predatore di fanciulle e un cacciatore di fiere che ha sempre la meglio sulla sua preda:

 

Picture a lion. Now imagine a deer in open country.

One runs to capture his prey, the other runs for safety.

But no matter how fast she runs,

the hunter always gains on his prey [4].

 

Le ninfe ovidiane desiderano essere libere, cacciare nella foresta e, poiché il potere maschile non può accettarlo, diviene necessario che si trasformino in altre forme vitali. Queste trasformazioni possono essere lette come violente, Infante invece le interpreta come una forma di liberazione. La suggestione da cui parte riguarda il momento in cui le ninfe, appena trasformate in elementi della natura o in animali provano a parlare, ma nessuno riconosce la loro voce perché emettono soltanto suoni incomprensibili. Solo apparentemente la perdita del linguaggio (umano) diventa segno tangibile di esclusione dall’umanità: di qui prende avvio la riflessione di Infante che si oppone al logocentrismo come cuore dell’antropocentrismo, che significa considerare il linguaggio come ciò che allontana ed eleva l’Uomo rispetto alla Bestia. L’artista cilena infatti non ritiene che la voce sia qualcosa che possediamo, che sia esclusiva espressione dell’agency umana, ma che sia qualcosa di più che umano: «la voce è qualcosa di preso in prestito dal vento è ciò che impiglia umani e non umani in un ventriloquismo senza fine, eco, ritornelli, senza mai appartenere a nessuno» [5].

 

Metamorphoses (2020), regia di Manuela Infante, adattamento di Michael De Cock e Manuela Infante, musica e suono di Diego Noguera (ph. Danny Willems).

 

Picture my voice.

It’s the cry of an animal.

Made by a machine.

That’s my voice…..

Was a breath that has escape in me.

[…]

What a beast I am.

You see, a voice will never be something to own [6].

 

Nel comporre la drammaturgia dello spettacolo è alla sonorità della voce che Infante si ispira, non alla sua componente semantica che compare su un grande schermo alle spalle della scena e a cui è lasciato il compito di narrare la trama del mito. Componente sonora sono versi, suoni, rumori che vengono a tessere quello che Infante definisce un noise play, quasi un musical in cui le parole sono alternativamente dette, cantate o scritte: la parola in quanto logos perde pertanto la sua preminenza. Nel corso dello spettacolo le voci, spesso deformate in suoni elettroacustici attraverso un processo di elaborazione dal vivo, sono proferite indifferentemente dai performer che si alternano nei ruoli, non preesistono quindi alla scena, ma sono forgiate da essa, rese materiali, tramutate in suoni articolati o meno che le fondono con rumori e suoni dell’ambiente naturale del poema ovidiano. La selva, luogo di elezione delle ninfe, viene resa in scena attraverso la costruzione progressiva di una foresta di microfoni da cui si sprigionano molteplici voci (più che personaggi) del mito andando a comporre una scrittura che valorizza le qualità musicali e ambientali della voce perché essa − nel pensiero di Infante − è musica e vento, rimbalza sulle rocce, si perde nell’aria fino a far sfumare il confine stesso tra ciò che è umano e ciò che non lo è.

La drammaturga e regista sostiene che questa frontiera tra umano e animale (o vegetale se si pensa al suo Estado vegetal, 2017), come tutte le frontiere sia pattugliata da poliziotti veri. La frontiera separa, e rende l’altro sfruttabile, appropriabile (Haraway, 2000). Per metterla in crisi è necessario un nuovo linguaggio, e in Metamorphoses è reso simbolicamente tramite l’antica storia di Filomena e della lingua tagliata (dal suo aggressore) che borbotta suoni incomprensibili. Infante si chiede infatti come possano le donne che hanno subito violenza denunciarla facendo ricorso alla stessa lingua del carnefice. La lingua tagliata cosa può raccontare da sola? Il suo sguardo femminista sui generi si allarga fino a comprendere gli/le altr* esclus*, ragionando sul confine umano/non umano, su come viene prodotto e controllato.

Si può infatti sostenere che Infante proponga un “antispecismo dei mezzi”, della pratica performativa che in questo lavoro ha nel suono il suo perno di riflessione enfatizzando la voce come luogo di una identità postumana.

 

Metamorphoses (2020), regia di Manuela Infante, adattamento di Michael De Cock e Manuela Infante, musica e suono di Diego Noguera (ph. Danny Willems).

 

Divenire animale nella pratica di O Thiasos TeatroNatura: Le metamorfosi della ninfa Io

Le metamorfosi della ninfa Io [7] collega idealmente il progetto di Manuela Infante a quello di O Thiasos TeatroNatura. Il TeatroNatura di Sista Bramini ha un rapporto di lunga durata con la mitologia ovidiana a cui ha dedicato spettacoli come Miti d’acqua (2003) e Miti di stelle (2007), perché la continuità tra umano, animale e divino «quel fluire dionisiaco della vita che prende forma poetica sublime nella metamorfosi attrae fatalmente la corporeità dinamica teatrale e la sua vocazione a farsi transito tra forme e figurazioni diverse» [8]. In notevole consonanza con la lettura di Infante di un “Ovidio postumano”, anche Bramini legge le metamorfosi femminili in piante e animali per sfuggire alla violenza e allo stupro come un grido disperato di libertà delle ninfe; se quelle trasformazioni, per una cultura antropocentrica, sarebbero null’altro che forme di regressione, per quella postumana indicano, al contrario, un’apertura dell’umano alla continuità ontologica con tutti i viventi. Del resto il postumanesimo contemporaneo ci parla della storia contemporanea di una speciazione, ovvero di una evoluzione cruciale per la nostra specie, nel necessario percorso di consapevolezza della posizione marginale dell’umano e della profonda connessione di tutte le vite, così come dell’impermanenza delle forme che già risuonava in Ovidio: «noi stessi siamo infinite cose: neonati, vecchi, sani, malati, animali, lavoratori, addirittura morti» (Caffo, 2017: 38).

La ninfa Io, preda sessuale di Giove, fu poi dal dio tramutata in una giovenca per non ingelosire la consorte Era. La ninfa, nella sua forma animale fu privata della parola con cui avrebbe potuto rivelare l’oltraggio subito: «essa tentava di effondere lamenti/ ma un muggito le usciva dalla bocca» (Ovidio, Le Metamorfosi, I, vv. 637-638).

Bramini legge il percorso di Io come viaggio iniziatico che approda alla metamorfosi conclusiva nella dea Iside; ella infatti, fuggendo per tutta la terra inseguita da un tafano, approda infine in Egitto e qui «uscendo dalla sua pelle bovina come da una placenta diventa Iside, la dea iniziatrice a una visione misterica del mondo in cui vita vegetale, divina, animale e umana sono parte di uno stesso inarrestabile flusso vivente» [9]. La metamorfosi della ninfa Io (2010), come tutti gli spettacoli di O Thiasos TeatroNatura, è pensato per un luogo aperto, come si legge nelle note di regia che accompagnano il testo:

testo e interpretazioni devono essere modulati secondo la ricerca di O Thiasos TeatroNatura, cioè in ascolto e in continuità d’attenzione con il paesaggio vivo circostante. I luoghi naturali o agresti in cui si snoda lo spettacolo itinerante andranno scelti con cura, per far scoprire al pubblico scorci e punti di vista inediti e nello stesso tempo per rendere partecipe quella scenografia vivente della drammaturgia e viceversa [10].

 

O Thiasos TeatroNatura, Incorpinuovi, da Ovidio: Metamorfosi della ninfa Io (2004), regia di Sista Bramini, nella foto Eva Paciulli (ph. Francesco Galli).

Estetica delle atmosfere naturali – quella di Sista Bramini – che si trasforma potentemente in etica: essere in natura senza la pretesa di possederla, è frutto di una consapevolezza motoria più che visiva, che va di pari passo con un training che mira al risveglio dell’animalità dell’attrice, al cervello arcaico, rettiliano (MacLean, 1984) e alla conseguente re-sponsabilità dello spettatore: la ri-creazione di uno specifico corpo-memoria che è un corpo ecologico. Sista Bramini, infatti, ispirata dal Teatro delle Sorgenti di Grotowski e dall’“ecologia della mente” di Gregory Bateson (1977), ha avviato una ricerca più che ventennale sui moduli arcaici della comunicazione umana, in particolar modo quelli artistico-performativi che si connettono per più aspetti alla nostra natura animale. L’intento è la ricerca di strutture tipiche del movimento animale, della qualità animale del corpo umano, mediante un approccio sensoriale. Si vedano gli esperimenti di quadrupedia di Camilla Dell’Agnola, attrice-cantante del gruppo, quando, ad esempio, nel Parco naturale del Gran Paradiso ha sperimentato l’essere un animale d’alta quota risalendo a quattro zampe un ripido canalone roccioso alla ricerca di un risveglio corporeo. Un’immaginazione che nasce dal corpo, un incontro fluido tra natura esterna e natura interna: l’animalità è qualcosa da agire non da raggiungere attraverso il linguaggio [11]. Negli anni il TeatroNatura ha sviluppato una possibilità poetica e pre-espressiva per abitare il luogo naturale cercando di risvegliare la natura animale delle attrici, alterando il ritmo del tempo ordinario, compiendo movimenti che generano fatica, cercando di rendere più flessibile la spina dorsale, alla ricerca di quegli impulsi organici, ricordi di un’altra epoca, dell’infanzia personale e forse di quella dell’umanità. Inoltre si ricerca la risonanza tra i corpi e le narrazioni orali – intendendo per oralità quella condizione cognitiva ed epistemologica che fa dell’oralità un sapere incorporato (Havelock, 1973) – quindi nel tentativo di riattivare quelle memorie particolari depositate in noi che sono memorie del corpo in azione (Deriu, 2012). L’oralità – in forte analogia con il lavoro di Infante – è una scelta di TeatroNatura per incontrare il vivente, perché è sempre traduzione dell’esperienza viva, diretta, nel suo essere anche gesto, ritmo, respiro, silenzio: «le parole per millenni sono state soprattutto fenomeni udibili dal vivo, un flusso sonoro di articolate e significanti qualità vibratorie […] sempre in costante relazione con le specifiche acustiche dell’ambiente circostante» (Bramini, 2022: 358). Ne La Metamorfosi della ninfa Io la scelta è di far ruotare l’intero spettacolo attorno a un personaggio muto, la giovenca, che solo alla fine del percorso metamorfico recupera la parola attraverso il canto; l’attrice imita con precisione organica e poetica fin nei dettagli le movenze di una vacca senza caricaturarle. Si muove su quattro trampoli bassi su cui appoggia mani e piedi, e dunque avanza a quattro zampe ricoperta da una morbida pelle bianca. Solo nell’ultima scena, che prevede la fine del percorso iniziatico e la trasformazione in Iside, si libera dei trampoli e della pelle per trasformarsi nella dea con una “vestizione a vista” compiuta dagli altri personaggi. Anche il suo custode, Argo, si sposta sui mezzi trampoli che erano usati anticamente dai pastori per guadare i fiumi e controllare dall’alto il gregge e in questo spettacolo rendono il personaggio sempre visibile al pubblico negli spostamenti attraverso il paesaggio. Nella drammaturgia di Sista Bramini Argo − di cui lei stessa è interprete − viene trasformato in un uomo selvatico ingenuo e crudele. Il gregge a cui fa la guardia con i suoi cento occhi sempre vigili diventa il pubblico – coinvolto quindi anch’esso nel generale processo metamorfico – con cui Argo improvviserà dei dialoghi mentre controlla la giovenca:

 

(Argo affannato le corre appresso) Vaccù allora cammina! Eh! Ti ordino di andare!

(quella di colpo s’impunta) Mo s’è fermata!

(spazientito Argo le dà una botta col bastone e quella si muove) Che v’avivo ditto? quella fa tutto chello che dico! Iamm! Vah! aizateve su che ce sgranchimmo nu pochettino…

(Andando appresso alla vacca) Guarda vaccù ca tu sì stata fortunata! Nun te lamentà! Penza se finivi dint’a n’ allivamento co tutte chelle povere bestie ammassate e torturate… [12]

 

O Thiasos TeatroNatura, Incorpinuovi, da Ovidio: Metamorfosi della ninfa Io (2004) regia di Sista Bramini, nella foto Maria Mazzei, Eva Paciulli, Francesca Ferri e Camilla Dell’Agnola (ph. Francesco Galli).

Il pubblico, guidato da Mercurio incaricato da Giove di uccidere Argo, itinerando e belando nel paesaggio insieme alla giovenca, è coinvolto intimamente attraverso una partecipazione ludica e diviene testimone empatico, per riscoprire la propria funzione di coro ante litteram.

Nello spettacolo si intrecciano più registri espressivi, quello comico-grottesco affidato ad Argo e alla sua improbabile cadenza meridionale, tra l’abruzzese, il napoletano e l’umbro; quello elegiaco, nell’accorata empatia di Inaco, Padre di Io e delle sorelle Naiadi (reso attraverso struggenti polifonie in stile madrigalesco); quello patetico incarnato dal personaggio muto della giovenca che si muove nel paesaggio con l’innocenza e l’intensità dell’animale e a tratti con il dolore di chi non ha voce.

Come un recitar cantando, i canti polifonici, costantemente presenti nelle produzioni del TeatroNatura, punteggiano e commentano la vicenda, creando le diverse temperature della scena. Per questo spettacolo le polifonie sono state composte da Francesca Ferri che da sempre si ispira alle acustiche dei luoghi ma altrove sono stati i falchi grillai a farle scoprire le possibilità straordinarie dell’acustica naturale, evidenziando la tridimensionalità del suono nel suo riflettersi sulla roccia. Questo perché le parole – dette o cantate – nascono dopo la contemplazione performativa, vero atto estatico attraverso cui far risuonare la “corporalità” di un luogo, in cui una quercia può essere testimone muta, in cui una colomba può fornire un’indicazione di lavoro, in cui si sprigiona l’intelligenza dei piedi che divengono delfini (Dell’Agnola, 2015). «Il mito è paesaggio è della stessa sostanza di cui è fatta la roccia, la nuvola, il battito del cuore di una lepre in fuga, l’apparire nel bosco del cervo, il tornare nel sogno dei morti» (Bramini, 2015: 166). Nel mito di Io il padre Inaco è un Padre-Fiume che nello spettacolo emerge dal paesaggio stesso assieme a due naiadi, sorelle di Io, e si muove con le figlie scivolando, quasi danzando, formando un personaggio collettivo, parte di uno stesso fiume.

Nel trascolorare della luce i personaggi si allontano in processione seguendo Iside, risvegliandosi e risvegliando gli alberi, le rocce, il luogo tutto. Ancora una volta si pratica una via di dilatazione oltre l’umano: è l’animale che si sveglia in noi, è l’animale fuori di noi che detta il ritmo del respiro.

 

Note

[1] Si fa riferimento a dichiarazioni depositate nella corrispondenza intercorsa tra Bramini e la scrivente del marzo 2024.

[2] Estado Vegetal (2017) e Realismo (2016) sono stati presentati entrambi nella 47esima edizione della Biennale Teatro di Venezia diretta da Antonio Latella.

[3] Dalla corrispondenza email (novembre 2023) con la scrivente che traduce dall’inglese.

[4] M. Infante, M. De Cock, Metamorphoses (2020), testo inedito, disponibile in traduzione in L. Budriesi (a cura di), Animali, Natura, Teatro. Metamorfosi del contemporaneo, Spoleto, Editoria&Spettacolo (in corso di stampa).

[5] Dalla corrispondenza email (novembre 2023) con la scrivente che traduce dall’inglese.

[6] M. Infante, M. De Cock, Metamorphoses, cit.

[7] La Metamorfosi della ninfa Io è l’esito di un lungo percorso ovidiano, tutt’ora in corso: un primo laboratorio è divenuto un imponente spettacolo itinerante nel 2002 con il titolo di Metamorfosi; nel 2004 è stato modificato in Incorpinuovi che prevedeva soltanto tre episodi tratti da Ovidio: “La metamorfosi della ninfa Io”, “Narciso”, “Apollo e Dafne”; infine nel 2010 una nuova versione è incentrata soltanto sulla vicenda di Io. Lo spettacolo è ancora in repertorio (sarà presentato nell’estate 2024 nel Parco del Gran Paradiso). Cfr. https://teatronatura.it/images/pdf/cv-o-thiasos-2022.pdf (ultima consultazione: 20 marzo 2024).

[8] Si cita dalla corrispondenza intercorsa tra Bramini e la scrivente nel marzo 2024.

[9] Ibidem.

[10] S. Bramini, La metamorfosi della ninfa Io, in L. Budriesi (a cura di), Animali, Natura, Teatro. Metamorfosi del contemporaneo, Spoleto, Editoria&Spettacolo (in corso di stampa).

[11] Cfr. Natura narrans – un viaggio teatrale nel Parco del Gran Paradiso sull’origine della fiaba, lungometraggio di S. Bramini e F. Magnani, realizzato da O Thiasos TeatroNatura, con S. Bramini, C. Dell’Agnola, S. Giorgi, V. Pavani, C. Taglietti, V. Turrini, luglio 2018: https://www.youtube.com/watch?v=Fww2GEnapXU (ultima consultazione: 20 marzo 2024).

[12] S. Bramini, La metamorfosi della ninfa Io, cit.

 

Bibliografia di riferimento

– G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1977.

– J. Bennet, Materia Vibrante. Un’ecologia politica delle cose, Palermo, Timeo, 2023.

– R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, Roma, DeriveApprodi, 2014.

– S. Bramini, Dialoghi con il genius loci. Mila di Codra, genesi e geografia di un teatro di paesaggio, in M. Giacobbe Borelli (a cura di), TeatroNatura. Il teatro nel paesaggio di Sista Bramini e il progetto “Mila di Codra”, Roma, Editoria&Spettacolo, 2015, pp. 155-200.

– S. Bramini, L’animale scenico e lo spazio naturale. Appunti e riflessioni dal TeatroNatura, in L. Budriesi (a cura di), Animal Performance Studies, Torino, Accademia University Press, 2022, pp. 352-374.

– L. Budriesi, Bologna come teatro nel Quattrocento. I. Feste per nozze, Città di Castello, Odoya, 2020.

– L. Budriesi (a cura di), Animal Performance Studies, Torino, Accademia University Press, 2022.

– L. Caffo, Fragile umanità. Il postumano contemporaneo, Torino, Einaudi, 2017.

– E. Coccia, Metamorfosi. Siamo un’unica, sola vita, Torino, Einaudi, 2022.

– C. Darwin, L’origine delle specie, Milano, BUR, 2009.

– C. Dell’Agnola, A piedi nudi. Dalle pietre di fiume alla “via” di Mila, in M. Giacobbe Borelli (a cura di), TeatroNatura. Il teatro nel paesaggio di Sista Bramini e il progetto “Mila di Codra”, Roma, Editoria&Spettacolo, 2015, pp. 201-212.

– F. Deriu, Performatico. Teoria delle arti dinamiche, Roma, Bulzoni, 2012.

– M. Giacobbe Borelli (a cura di), TeatroNatura. Il teatro nel paesaggio di Sista Bramini e il progetto “Mila di Codra”, Roma, Editoria&Spettacolo, 2015.

– J. Grotowski, Testi 1954-1998. IV. L’arte come veicolo (1984-1998), Firenze, La Casa Usher, 2016.

– B. Latour, Reassembling the Social. An Introduction to Actor-Network-Theory, Oxford, Oxford University Press, 2005.

– P.D. MacLean, Evoluzione del cervello e comportamento umano, Torino, Einaudi, 1984.

– G. Mangiameli, La testuggine africana e l’acqua. L’umanità estesa in un mito kassena, in L. Budriesi (a cura di), Animal Performance Studies, Torino, Accademia University Press, 2022, pp. 251-267.

– R. Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.

– D.J. Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Milano, Feltrinelli, 1999.

– D.J. Haraway, Testimone-modesta@femaleman-incontra-Oncotopo. Femminismo e tecnoscienza, a cura di L. Borghi, Milano, Feltrinelli, 2000.

– D.J. Haraway, Le promesse dei mostri. Una politica rigeneratrice per un’alterità inappropriata, Roma, DeriveApprodi, 2019.

– D.J. Haraway, Chuthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Roma, Nero Press, 2020.

– E.A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone, Roma-Bari, Laterza, 1973.

– Ovidio, Le Metamorfosi, 2 voll., Milano, Bompiani, 1988.

– K.S. Rothwell, Nature, Culture, and the Origins of Greek Comedy. A study of Animal Choruses, New York-Cambridge, Cambridge UP, 2007.

– F. Timeto, Bestiario Haraway. Per un femminismo multispecie, Milano-Udine, Mimesis, 2020.

– C. Wolfe, What is posthumanism?, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2009.

 

Siti web

– M. Infante e C. De Cock, Metamorphoses, https://www.kvs.be/en/agenda/454/manuela-infante-michael-de-cock-diego-noguera-kvs/metamorphoses (ultima consultazione: 20 marzo 2024).

– O Thiasos TeatroNatura, La Metamorfosi della ninfa Io, https://teatronatura.it/spettacoli-in-repertorio/la-metamorfosi-della-ninfa-io# (ultima consultazione: 20 marzo 2024).

– O Thiasos TeatroNatura, Natura Narrans, https://www.youtube.com/watch?v=Fww2GEnapXU (ultima consultazione 20 marzo 2024)

Share
Aggiungi ai preferiti : Permalink.

I commenti sono chiusi.