SIAMO STATI NEL TEMPO, di Roberto Bacci
Il Terzo Teatro è la storia di uomini che oggi non esistono più.
Di un Paese che non esiste più.
Di una società che non esiste più.
Di una politica culturale che non esiste più.
Eppure qualcosa resta e ci spinge non tanto a “ricordare”, ma a riflettere sul “presente”, perché anche il futuro non esiste più (o ancora).
Se rifletto vedo prima di tutto una necessità di “teatri”, un plurale che, pur partendo da una definizione singolare, riusciva a moltiplicarsi in tante e diverse direzioni fino a sentire stretta persino la definizione di Terzo Teatro.
Personalmente ho sempre ignorato questa definizione come una linea di condotta o una opzione politica, anche se la politica è stata fin dall’inizio una strada importante nelle mie scelte.
Ma “politica” ha significato non il fine della creazione, bensì quello dell’organizzazione del lavoro, del nutrimento culturale mio e dell’ambiente teatrale, la contrapposizione ai modelli generali del teatro di quel periodo e la volontà di creare un modello “pubblico” autonomo che potesse organizzare la produzione di spettacoli e di cultura teatrale in modo alternativo.
Così sono nati l’esperienza di Pontedera, e i Festival che ho diretto (Santarcangelo e Volterra).
La sete di conoscenza che non fosse legata ai modelli produttivi e formativi esistenti è stata un motore che mi ha fatto guardare dove ancora non conoscevo e incontrare un popolo di teatro (artisti e spettatori) che si sentiva attratto da questa stessa forza.
Lo stesso è stato per la curiosità e la necessità di incontrare le visioni, la professionalità e la cultura dei maestri.
Dopo Eugenio Barba (ispiratore ma non un modello artistico), Grotowski, Brook, Vasiliev, Fabre, Ruiz, Sanjukta, i balinesi, i giapponesi e molti altri.
I Festival che ho diretto e il Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera sono stati il motore politico e la base economica con cui sviluppare “l’azione” nel contesto del teatro cercando, con la pratica, di offrire non un esempio, ma una direzione alternativa.
Poi gli spettacoli.
Il bisogno di autoformazione, i tempi lunghi per produrre, la formazione di un gruppo stabile di lavoro, una relazione “necessaria” con i temi da esplorare e da condividere non con un generico “pubblico” ma piuttosto con ogni singolo spettatore, l’uso di spazi non convenzionali.
Tutto questo è stato il risultato integrato tra una crescita umana e personale mia e degli attori e quella di una “istituzione” anomala e “imprevedibile” come il CSRT di Pontedera.
Il segreto di questa storia credo sia l’aver tenuto sempre vicina quella che Fabrizio Cruciani chiamava “l’energia delle origini”.
C’è stato poi il rapporto con la Storia del Teatro, e la riflessione critica e nutriente su di essa, incarnata in amici straordinari come Ferdinando Taviani, Franco Ruffini, Fabrizio Cruciani, Claudio Meldolesi, Nicola Savarese, Mirella Schino, Stefano Geraci, Gerardo Guccini.
Con queste persone è stato creato un ambiente che ci ha nutrito, consigliato e a volte incoraggiato e protetto.
Credo sia stato un caso unico e comunque raro di cui il cosiddetto Terzo Teatro è stato la rappresentazione: la necessità di conoscere le tracce di chi ci ha preceduto nel passato per guidare i nostri passi.
Eugenio e la sua generosa e tumultuosa vocazione a fare incontrare mondi e persone diverse è stato il motore necessario senza il quale sicuramente tutta questa vita del teatro non ci sarebbe stata.
Il Terzo Teatro non è stato un movimento che si è auto-riconosciuto e autodefinito, così almeno io l’ho percepito, piuttosto si sono create amicizie e solidarietà forti tra alcuni artisti e gruppi – e qui non posso non ricordare le notti passate a parlare con Renzo Vescovi, le esperienze fatte con Pino Di Buduo e il rapporto a Santarcangelo con Ferruccio Merisi.
Questi e altri rapporti sono durati anni, ma mai c’è stata la consapevolezza esplicita di far parte di un “Terzo Teatro”.
È stato, forse, un modo concreto di esserlo senza farlo diventare una definizione ideologica.
Purtroppo il passato è passato, come dice il poeta, il futuro non esiste e io, oggi, mi domando che cosa sono diventato.