IL GIULLARE E IL GRECISTA: PER DARIO FO E BENEDETTO MARZULLO

[di Marco De Marinis]

Se ne sono andati nello stesso giorno, giovedì scorso 13 ottobre, Dario Fo (1926), che non ha bisogno di presentazioni, e Benedetto Marzullo (1923), grecista e studioso di teatro, non solo antico. Naturalmente del primo si sono occupati i mezzi d’informazione di tutto il mondo, com’è comprensibile e giusto. Meno giusto anche se purtroppo ugualmente comprensibile è – a mio parere – che quasi nessuno abbia ricordato il secondo, a cui invece la cultura italiana deve molto, essendo egli stato l’inventore di una delle pochissime novità autentiche partorite dal dopoguerra ad oggi dalla nostra Università, e quindi dal nostro sistema formativo: parlo del DAMS, il corso di laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, nato su suo impulso a Bologna del 1970, grazie al quale per la prima volta l’insegnamento dei linguaggi artistici e dei mass media, in altre parole la modernità, fecero ingresso organicamente nelle Facoltà umanistiche. Quando si parla di “nuovo umanesimo” nella cultura del nostro Paese bisognerebbe tenere conto (e invece non lo si fa quasi mai) anche dell’indiscutibile contributo che ad esso hanno dato appunto il DAMS, negli ormai quasi cinquant’anni di vita, e il suo geniale ideatore, il filologo classico traduttore di Aristofane e Menandro.

Non dovrà quindi sembrare una forzatura commemorare qui insieme due figure tanto diverse e apparentemente lontane fra loro, anche nella popolarità, come Fo e Marzullo. Perché, al di là delle differenze e delle distanze, così evidenti da non aver bisogno di essere sottolineate, non sono poche le affinità e le vicinanze, anche geografiche.

Benedetto Marzullo durante la cerimonia di conferimento della Laurea Honoris Causa in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo – Università di Bologna (27 ottobre 2000)

Ho già accennato alla funzione di svecchiamento che la nascita del nuovo corso di laurea ebbe alla fine degli anni Sessanta in un’accademia italiana scossa dal vento del Sessantotto ma tutto sommato poco incline a farci realmente i conti. Grazie alla liberalizzazione degli accessi alle Facoltà, una delle poche conquiste concrete della contestazione studentesca, Marzullo poté immaginare di trasformare un Istituto (interfacoltà) di Studi Musicali e Teatrali, che vivacchiava da anni a Bologna, pur essendo diventato il punto di riferimento di giovani inquieti e talentuosi, come i registi Luigi Gozzi e Arnaldo Picchi, in un vero e proprio corso di laurea: una rivoluzione in realtà, quasi l’”immaginazione al potere”, ma coi fatti non a chiacchiere. Non è esagerato allora considerare il DAMS come uno dei (pochi?) frutti fecondi e durevoli del Sessantotto.

Ma che faceva Dario Fo mentre Marzullo, sbarcato nel ’67 nella nostra città, per succedere a Carlo Del Grande sulla prestigiosa cattedra di Letteratura Greca, covava il suo progetto rivoluzionario? Anche Fo stava maturando la sua personale rivoluzione. Nel 1968 egli fonda infatti, insieme a Franca Rame, a Vittorio Franceschi e ad altri, la prima cooperativa teatrale italiana, Nuova Scena, e lavora alla nascita del primo circuito alternativo all’interno dell’ARCI. In questo modo Fo attuava una scelta di campo definitiva, abbandonando per sempre il teatro borghese. (Ricordo personalmente di averlo visto al Teatro Duse di Bologna, nel ’67 o poco dopo, con La signora è da buttare, la sua ultima commedia prima maniera, straordinaria satira antiamericana, che lasciava già presagire quel passaggio ad un teatro più direttamente politico, che si sarebbe attuato di lì a pochissimo con Nuova Scena prima e, nel 1970, con la creazione dei Circoli La Comune sempre a Milano).

Si faccia caso alle date, oltre che ai luoghi. In quei due-tre anni, fra ’68 e ’70, a Bologna nasce il DAMS, che avvia un cambiamento irreversibile, anche se sempre contrastato e talvolta addirittura boicottato, nel pigro corpaccione dell’accademia italiana. Nello stesso periodo, e partendo sempre dalla nostra città, Fo non soltanto sceglie di non essere più il “buffone della borghesia” per diventare il “giullare del popolo”, assestando alla scena del nostro Paese uno scossone anch’esso irreversibile (non da solo, è chiaro), ma produce anche quelli che resteranno i suoi capolavori teatrali assoluti, rispettivamente nei due principali generi praticati, il monologo e la commedia: da un lato Mistero buffo, che debutta nell’autunno del 1969, e Morte accidentale di un anarchico, sulla drammatica vicenda del “suicidio” dell’anarchico Pinelli, precipitato in circostanze mai del tutto chiarite da una finestra della Questura milanese, che esordisce un anno dopo.

Dario Fo in "Morte accidentale di un anarchico" (1970)

Dario Fo in “Morte accidentale di un anarchico” (1970)

Il DAMS delle origini è stata un’esperienza irripetibile e difficile da raccontare a chi non c’era. (Il sottoscritto ha avuto immeritatamente la fortuna di parteciparvi, giovanissimo laureato di Marzullo, ovviamente con una tesi su Aristofane e i problemi della messa in scena delle sue commedie). Il grecista appena scomparso ebbe infatti la larghezza di vedute e la lungimiranza necessarie per decidere di coinvolgere nell’impresa quanto di meglio e di più innovativo la cultura italiana di quegli anni potesse offrire: da Luigi Squarzina a Umberto Eco, da Roberto Leydi a Furio Colombo, da Tomàs Maldonado a Mario Bortolotto, da Gianni Celati a Giuliano Scabia, da Adelio Ferrero a Ferruccio Marotti e Fabrizio Cruciani. Per fare solo alcuni nomi. Per quasi tutti loro le porte dell’accademia si schiudevano per la prima volta; e se ci sforziamo di riandare per un momento a quegli anni non si trattò certamente di uno sforzo da poco e tante furono (e restarono) le resistenze interne da vincere.

Un solo esempio: quando se n’è andato il grandissimo Umberto Eco (un altro dei miei maestri), alcuni mesi fa, quasi tutti i media ne hanno parlato come di uno dei fondatori o addirittura dell’ideatore del DAMS: una piccola (?), perdonabile imprecisione. Meno scusabile invece anzi, per dirla tutta, abbastanza vergognoso è stato – a mio parere – il fatto che nessuno dico nessuno abbia voluto ricordarsi in quella circostanza di chi il DAMS l’aveva fondato per davvero e, in questo modo, aveva fra l’altro permesso a Eco di arrivare alla cattedra di Semiotica nel 1974 (la prima in Italia, non so se al mondo), dopo vari tentativi falliti. (All’epoca, l’autore di Opera aperta era già troppo famoso e inserito nell’industria culturale per non suscitare invidie accademiche, che avrebbero forse rischiato di lasciare fuori dall’Università un intellettuale della sua statura senza il provvidenziale intervento del grecista appena scomparso).

Nel 1975 Benedetto Marzullo è costretto a lasciare ogni responsabilità nella gestione del nuovo corso di laurea. Finisce così l’età d’oro del DAMS e inizia un’altra, lunga stagione, anch’essa bella e importante pur fra luci ed ombre, la quale arriva fino a noi scontando fra l’altro, lungo il percorso, gli effetti della crisi progressiva che inizia ad affliggere, e tutt’ora affligge, l’università italiana.

Benedetto Marzullo durante la cerimonia di conferimento della Laurea Honoris Causa in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo – Università di Bologna (27 ottobre 2000)

Ma il primo lustro fu un’altra cosa. In quegli anni, accanto ai docenti che ho ricordato, ai sempre più numerosi iscritti poteva capitare in pochi giorni di assistere a una conferenza dello scrittore argentino Manuel Puig, o del nostro Alberto Moravia, di incontrare il cineasta Jean-Luc Godard o Julian Beck e Judith Malina del leggendario gruppo teatrale americano The Living Theatre, o ancora di discutere con il regista Bernardo Bertolucci, reduce dallo scandalo del film Ultimo tango a Parigi (una delle memorie difensive, nell’epocale processo intentato contro di lui, fu stesa proprio da Marzullo!). Per non parlare di un’icona della controcultura americana di quegli anni come la cantante Joan Baez.

Anche la parabola creativa di Dario Fo tocca il suo culmine in quella stagione, con il Settantasette, inteso sia come dato cronologico sia come Movimento, a fare da spartiacque. Dopo continuerà ovviamente ad essere grandissimo, diventando il monumento che tutti conosciamo, ma non si troverà mai più “in situazione” come in quel magico e terribile periodo, che assunse alla fine la lugubre coloritura degli anni di piombo.

Fo, Marzullo, Bologna, il Dams, il nuovo teatro. Il rapporto di Fo con la nostra città non è venuto mai meno negli anni. Ricordo un suo spettacolo (Storie della tigre) a impreziosire e vivacizzare la imponente ma anche impotente manifestazione che nel settembre del ’77 chiuse la stagione dei Movimenti a Bologna e non solo (mentre lui recitava sul palco di Piazza VIII Agosto, il pubblico si divertiva a sbeffeggiare “Pippo”, l’elicottero delle Forze dell’Ordine volteggiante sulle nostre teste, così ribattezzato per l’occasione). Quasi vent’anni dopo, nel 1995, fra gli eventi che celebrarono la riapertura dello storico Teatro dell’Arena del Sole, con la gestione della cooperativa Nuova Scena, il posto d’onore lo ebbe il futuro premio Nobel, che presentò l’esilarante Tumulto di Bologna, magistrale reinvenzione di un episodio medievale di rivolta del popolo bolognese. Ma, a chiudere il cerchio della nostra storia, Dario Fo è stato anche ospite della Soffitta, il Centro di Promozione Teatrale che nacque a Bologna nel 1988, all’interno del Dipartimento di Musica e Spettacolo, per impulso di Claudio Meldolesi, Fabrizio Cruciani, l’allora Rettore Fabio Roversi Monaco e Lamberto Trezzini, che ne fu a lungo il direttore. In questo momento non saprei dire esattamente quale anno fosse (sicuramente i primi Novanta), ma ricordo bene invece il regalo che egli fece ai nostri studenti di una delle sue memorabili conferenze-spettacolo, in cui ricostruiva performativamente la sua fantasiosa genealogia attorale, dal giullare medievale al comico dell’Arte, via Ruzante, su su fino alla Rivista del Novecento, nella quale si era formato negli anni Quaranta-Cinquanta, con Parenti, Durano, Sportelli e soprattutto Totò.

Volantino di "Storia di una tigre e altre storie" di e con Dario Fo, incluso nel programma della rassegna "La Commedia dell`Arte nelle maschere di Sartori", svoltasi a Copenhagen, Danimarca, 1984.

Volantino di “Storia di una tigre e altre storie” di e con Dario Fo, incluso nel programma della rassegna “La Commedia dell`Arte nelle maschere di Sartori”, svoltasi a Copenhagen, Danimarca, 1984.

È un aspetto meno noto della poliedrica e inesauribile creatività di Dario Fo quello delle conferenze-spettacolo, nelle quali invece eccelleva, e che rappresentano a mio parere una delle eredità più preziose da lui lasciate al nuovo teatro (ne hanno fatto tesoro soprattutto gli attori dell’Odin Teatret di Eugenio Barba, il quale – va sottolineato – invitò Fo in Danimarca a tenere seminari per la prima volta nel lontano ’69). Nelle dimostrazioni il talento istrionico ma anche pedagogico e affabulatorio di Fo, insofferente dei limiti troppo rigidi imposti spesso dalla struttura drammatica, si esaltava e dava il meglio, saltando di continuo con una abilità senza eguali dentro e fuori della situazione, da un livello all’altro, dalla scena al suo smontaggio e commento, e poi di nuovo dentro la situazione e così via. Un raro esempio di autentico teatro epico di altissimo livello, che un Brecht, in estasi – come sappiamo – davanti a Mei Lanfang, maestro per tradizione oltre che per talento personale di sfasature simili, avrebbe adorato. L’ultima volta che ho visto Fo in azione così è stato giusto vent’anni fa proprio in Danimarca (di lì a un anno sarebbe tornato in Scandinavia per un’altra, molto più prestigiosa occasione). Eravamo durante una sessione dell’ISTA, l’International School of Theatre Anthropology diretta da Barba, che quell’anno si svolgeva a Copenhagen. Anche se in quella occasione la sorpresa vera venne da Franca Rame, che incantò tutti con lo smontaggio della Madonna alla Croce (da Iacopone da Todi), suo cavallo di battaglia, uno dei pezzi forti di Mistero Buffo. Non mi ero accorto ancora di quanto mostruosamente brava fosse diventata anche lei accanto a Dario, un vero Fo al femminile!

Benedetto Marzullo è stato un grande grecista: da La questione omerica, degli anni Cinquanta, a I Sofismi di Prometeo, degli anni Novanta, in oltre quarant’anni i suoi studi hanno contribuito a svecchiare in maniera decisiva il nostro modo di leggere i lirici e i drammaturghi greci, in particolare Aristofane, delle cui commedie propose nel ’68 una traduzione completa assolutamente innovativa. Ma non c’è dubbio che la sua creatura più importante, e forse anche la più amata, sia stata il DAMS, al di là dei dispiaceri e delle amarezze che non gli ha risparmiato, come capita sovente proprio con i figli a cui si è più legati.

Per chi scrive il grecista scomparso è stato molto altro ancora e anche per questo non smetterò mai di essergli grato.


NOTA

Il romanzo del DAMS delle origini non è stato scritto e ormai non credo che lo sarà più. Ci sarebbe voluta la penna di un Tondelli o di un Palandri, entrambi nostri studenti nella seconda metà dei Settanta. Neppure una storia esiste ancora di questa fondamentale vicenda, per altro non conclusa, ma per farla ci sarà tempo, anche “dopo i testimoni”. Fra i pochi contributi disponibili, mi piace citare uno dei più recenti e anche dei più belli, quello di Giuseppe Liotta, presente fin dall’inizio nel gruppo di giovani che Marzullo volle accanto a sé perché lo aiutassero nell’ardua impresa: cfr. Il Dams delle origini. A braccetto con le utopie, in Il teatro e il suo dopo. Un libro di artisti in omaggio a Marco De Marinis, a cura di Fabio Acca e Silvia Mei, Spoleto, Editoria & Spettacolo, 2014, pp. 325-332.

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