CHIAMALA COL SUO NOME. Rileggendo “Come d’aria” di Ada D’Adamo
[di Francesca Sivo] «Sei Daria. Sei D’aria. L’apostrofo ti trasforma in sostanza lieve e impalpabile. Nel tuo nome un destino che non ti fa creatura terrena, perché mai hai conosciuto la forza di gravità che ti chiama alla terra». Comincia così, con un raffinato gioco di parole, anticipato già dal titolo, il romanzo d’esordio di Ada D’Adamo, vincitore postumo del Premio Strega 2023: Come d’aria [pubblicato nella collana Scatti di Elliot Edizioni, n.d.r.]. Un gioco di parole che, come un fuso, sembra riavvolgere in un attimo tutto il filo del racconto di una vita sul crinale della poetica del nomen/omen tanto cara agli antichi, e torna a riproporsi uguale e diverso nel finale: in una sorta di Ringkomposition, che attribuisce nuova forma e nuova sostanza al concetto di identità come attraversamento ed “incorporazione” dell’altro da sé, concetto peraltro nodale nella semantica della danza e nell’ambito delle ricerche e degli studi condotti su questa disciplina così importante nell’universo vitale e letterario dell’autrice*. «Finirò col disciogliermi in te? Sono Ada. Sarò D’aria»: sono queste le ultime parole con cui si conclude la lettera-testamento che la scrittrice abruzzese indirizza alla sua unica figlia, Daria, consegnando insieme a quelle pagine, a lei che… Continua a leggere