[di Fabio Acca]
La finale 2017 del Premio Scenario, svoltasi per la nona volta consecutiva a Santarcangelo di Romagna e ospitata dal 10 al 12 luglio al Teatro Lavatoio nell’ambito di Santarcangelo Festival, verrà sicuramente ricordata come una delle più significative degli ultimi anni. Non solo per la qualità delle 15 creazioni finaliste presentate, ma soprattutto per l’ammirevole impegno di tutti coloro che hanno lavorato a questa 16a edizione del trentennale. Uno sforzo a dir poco coraggioso, in tempi di “totale mancanza di qualsiasi attenzione alla creatività giovanile da parte di governi e partiti”, per citare uno stralcio dell’appassionata lettera indirizzata da Marco Baliani (presidente della giuria, nonché ideatore e fondatore del Premio Scenario nel 1987) alla comunità teatrale italiana all’indomani della finale santarcangiolese.
È ormai storicamente assodato che il progetto Scenario ha avuto – e detiene tuttora – un ruolo determinante nel riconoscere, accompagnare e portare a una evidenza nazionale le migliori energie della giovane scena contemporanea italiana. Per stare solo alle edizioni del nuovo millennio, è sempre utile ricordare che da qui sono emersi numerosi artisti dell’attuale panorama nazionale della ricerca, tra cui, per menzionarne alcuni, Emma Dante, Davide Enia, Habillé d’Eau, Francesca Proia, Teatro Sotterraneo, Gianfranco Berardi, Babilonia Teatri, Pathosformel, Marta Cuscunà, Anagoor, Codice Ivan, Carullo-Minasi, Francesca Foscarini-Giorgia Nardin-Marco D’Agostin, Fratelli Dalla Via. Autori, attori, coreografi, interpreti e performer che, presi nel loro complesso, definiscono una scrittura scenica assolutamente trasversale, senza alcuna preclusione di genere o formato, quasi fin troppo precisa nel delineare le tendenze, i temi e le trasformazioni che tuttora innervano i linguaggi della scena italiana: dal teatro cosiddetto “di narrazione”, alla drammaturgia d’attore; dalla medialità del dispositivo alla danza d’autore; dal teatro di gruppo a quello di regia, o ancora di figura, ecc. Eppure, nonostante questa rappresentanza oggettivamente stratificata, plurale e diversificata, negli ultimi anni il premio ha sofferto alle volte, suo malgrado, di una percezione sfuocata da parte di alcune frange della comunità teatrale, viziata da uno strabismo ideologico, quasi fosse l’ostinato custode di una concezione conservativa dell’arte scenica, unicamente votata al consolidamento di una idea di “nuovo” circoscritta alla cornice di una teatralità giocata perlopiù nel circuito attore-testo-personaggio o, in alternativa, alle tematiche dell’impegno civile.
L’esito di quest’ultima edizione non solo cancella, se mai ce ne fosse bisogno, questo vero e proprio falso pregiudizio, ma rilancia potentemente Scenario come uno dei progetti da cui osservare le oscillazioni più interessanti del complesso panorama odierno delle arti sceniche. La giuria, composta oltre che dal già citato Baliani, da Lisa Gilardino (co-curatrice di Santarcangelo Festival), Edoardo Donatini (direttore artistico di Contemporanea Festival e Teatro Metastasio di Prato), Pasquale Vita (coordinatore del Circuito Regionale Multidisciplinare dell’Emilia Romagna), Cristina Valenti (docente dell’Università di Bologna e presidente dell’Associazione Scenario), Stefano Cipiciani (direttore di Fontemaggiore e vicepresidente dell’Associazione Scenario), ha optato per un articolato sistema di premiazione, che se da un lato tende ancora una volta a marcare un ormai irrinunciabile sentiero di multidisciplinarità, dall’altro pone l’accento sugli aspetti più performativi dell’esperienza scenica. A testimoniare questa spinta, innanzitutto, la dialettica attivata dai due vincitori ex-aequo di quest’anno nella principale categoria Scenario, The Baby Walk (Cernusco sul Naviglio, MI) e Barbara Berti (Bologna), rispettivamente con le creazioni Un eschimese in Amazzonia e Bau#2.
Un eschimese in Amazzonia, di The Baby Walk, rilancia in una nuova chiave e con una propria originalità i tratti del modello drammaturgico proposto negli anni passati da un gruppo ormai di culto come Babilonia Teatri. Una scelta, quella della giuria, quasi a saldare e rafforzare un’idea di teatro che, pur senza alcuna tensione rappresentativa, fa necessariamente i conti con una “nuova mimesi”, o “realismo inverso”, imbevuto di cultura pop e aderenza al dibattito sociale, ma che mai esalta il dato oleografico del principio di realtà a cui si riferisce. Il lavoro del gruppo è ancorato ai temi della “fluidità” di genere e si snoda con piglio amaramente ironico nel rapporto tra una incalzante oralità corale e il più statico protagonista, ponendo al centro, fin dalla metafora del titolo, l’evocazione del difficile inquadramento identitario di un soggetto transgender nell’universo delle relazioni quotidiane. Pur nell’evidenza di una scrittura pungente e corrosiva, emerge con forza e parallelamente l’efficacia di una parola strutturata secondo schemi e sequenze ritmiche, a definire un flusso permanente che incrocia di volta in volta gli episodi disinvoltamente “recitati” da Liv Ferrachiati, anche ideatore del lavoro e autore del testo. E tuttavia, nonostante la forte componente testuale, la creazione non si risolve mai in soluzioni puramente narrative, lanciata piuttosto in una corsa performativa che fa anche tesoro delle suggestioni tratte dall’immaginario dei dispositivi tecnologici di ultima generazione.
Il carattere performativo è ancor più audace in Bau#2, di Barbara Berti (Bologna), artista formatasi prevalentemente all’estero e che porta dunque con sé una sensibilità e un’estetica minimalista marcatamente europea, insieme agli echi di ascendenze post-modern. La creazione può essere considerata il punto di convergenza rituale tra pratiche meditative, danza e parola, elaborate attraverso un approccio squisitamente coreografico e concettuale, centrato – si legge nella presentazione a firma dell’artista – “sull’esplorazione delle connessioni invisibili tra corpo e mente, attivate in tempo reale dal performer e dagli spettatori, in una sorta di relazione dialogica tra i rispettivi spazi interiori”. Ciò a cui si assiste è effettivamente il risultato di questa interazione freddamente ipnotica, quasi esoterica (che tuttavia nulla concede a facili e pericolosi spontaneismi), durante la quale Berti rielabora le micro-informazioni captate dal pubblico, tradotte all’impronta in inserti fisici e vocali, alle volte di una auto-ironia spiazzante, che vanno così ad alimentare la preesistente partitura complessiva anche grazie a un semplice ma sapiente utilizzo delle luci in sala. Ed è proprio l’uso della luce, della sua capacità di dare consistenza e forma alle cose, che convoca lo spettatore ad un altro affascinante livello di percezione, soprattutto nel momento in cui l’artista si sottrae alla vista lasciando alla danza e all’amplificazione dei soli rumori di scena (fruscii, scalpiccii, respiri) il compito di indagare la relazione scenica.
Le qualità specifiche della coreografia e di un teatro che si misura con l’espressione fisica sono state ulteriormente valorizzate, in questa tornata, nel premio assegnato dalla giuria a Valentina Dal Mas (Valdagno, VI) per il suo Da dove guardi il mondo, nella categoria Premio Scenario infanzia. La creazione, pensata per un pubblico di bambini dai 6 ai 10 anni, scarta con decisione l’enfasi iper-narrativa, o favolistica, che spesso anima tale tipo di produzioni, puntando piuttosto ai valori di immediatezza che producono il movimento e la comunicazione corporea. Il nucleo tematico del lavoro conduce a una impegnata riflessione sul disturbo dell’apprendimento che affligge Danya, una bambina di 9 anni non ancora in grado di scrivere. Tramite un sistema fantastico, fatto di relazioni immaginarie veicolate da oggetti concreti e create sulla scena dalla performer, Danya riesce a mettere a fuoco il proprio obiettivo, aggirando il sistema di apprendimento “ufficiale”, sostituito da un percorso attivato da principi di piacere e dalla connessione costante con “un punto di allegria”. Una prospettiva maieutica importante per chi si avvicina a questioni così delicate non solo dal punto di vista dell’arte, ma anche interessante da leggere in una dimensione più allargata e adulta se epurata dalla sua componente solipsistica, nella misura in cui la didattica viene spesso associata dai giovanissmi scolari ad automatismi psicologici di carattere privativo, quando non proprio punitivo.
In questa edizione del trentennale l’energia fisica – declinata stavolta in termini di vitalità performativa – è alla base anche del quarto lavoro premiato, I Veryferici, di Shebbab Met Project (Bologna), che si è aggiudicato il Premio Scenario per Ustica. Il gruppo, formatosi all’interno della compagnia Cantieri Meticci, è composto da ben 9 attori-performer provenienti da Paesi e continenti diversi, in una idea – appunto – di meticciato teatrale che tende ad amalgamare, esaltandole, le connessioni culturali di chi vi partecipa. Una drammaturgia delle differenze, potremmo dire, ulteriormente vivacizzata da uno spirito di brigata, in cui ogni singolarità trova un proprio posizionamento, sia esso riferito a un contesto musicale piuttosto che immediatamente attiguo ai linguaggi del teatro. Il gruppo, pur con dinamiche grottesche quando non proprio comiche, cavalca consapevolmente e provocatoriamente lo spauracchio culturale di chi ancora si oppone strenuamente alle politiche di integrazione e legge i fenomeni legati all’immigrazione come pericolosa colonizzazione identitaria. Attraverso la forma dello sketch breve, gli attori producono micro-narrazioni forse ancora acerbe sul piano delle complessità teatrali, ma sicuramente efficaci nel trascinare lo spettatore in una contagiosa empatia collettiva.
Oltre ai tre premi ufficiali, la giuria ha poi disposto un nutrito ventaglio di menzioni speciali, a sottolineare la diffusa qualità di questa edizione e il non facile compito di individuare i singoli vincitori: Intimità, di Amor Vacui (Padova), nella categoria Scenario; Abu sotto il mare, di Pietro Piva (San Giovanni in Marignano, RN) e Faustbuch, di Enrico Casale (La Spezia), entrambi nella categoria Scenario per Ustica; e infine Ticina, del Teatro nel Baule (Napoli), nella categoria Scenario infanzia. Tra questi ci preme dare almeno un cenno sul lavoro della compagnia padovana, caratterizzato da una scrittura tambureggiante eppure sottile, soprattutto nella capacità di includere elementi metateatrali che danno profondità a un discorso altrimenti rischiosamente centrato su una comicità d’effetto, sulla sessualità e sulle relazioni sentimentali di una generazione di giovani.
Ed è proprio il comico declinato anche nelle forme del grottesco a definire, insieme agli aspetti più propriamente coreografici e performativi già richiamati, le due maggiori linee di tendenza del panorama artistico presentato in questa 16a edizione del Premio Scenario. In tale prospettiva si collocano, per esempio, almeno due altri lavori non menzionati, ma meritevoli in questa sede di una segnalazione: I giardini di Kensington, di Sirna/Pol (Roma) e Posso lasciare il mio spazzolino da te?, di Massimo Odierna (Napoli). Creazioni rispettivamente orientate a una interessante indagine delle possibili sinergie tra coreografia e testualità, con cadenze metafisiche e “assurde”; e a un più tradizionale – ma piuttosto riuscito – confronto tra scrittura drammatica e attorialità, calato nell’inquietudine tragicomica di tre giovani personaggi legati da improbabili rapporti quotidiani. Due nozioni, il “comico-grottesco” e il “performativo”, che, in realtà, osservando bene la storia del premio, sono state già presenti negli artisti che hanno attraversato le passate edizioni. Oggi, però, trovano una rinnovata collocazione in una strategia culturale quasi rifondativa del progetto, grazie soprattutto alla definitiva apertura verso un’area legata al territorio della danza, che fino ad oggi non era mai rientrata in un orizzonte di effettiva premialità, aprendo dunque potenzialità inedite di confronto.
Con tali esiti il Premio Scenario guarda con fiducia in avanti, e si proietta con rinnovato slancio nel ruolo che gli compete fin dalla sua fondazione, ovvero – come ha ricordato ancora Marco Baliani in occasione della finale – la promozione del nuovo e la valorizzazione del talento in un sistema teatrale che fatica a offrire il giusto riconoscimento economico e la dovuta accoglienza alle espressioni della creatività giovanile.
PS: Il debutto degli spettacoli nella loro versione completa avverrà a Bologna e Casalecchio di Reno nei giorni di sabato 2 e domenica 3 dicembre 2017, presso Teatri di Vita e Teatro Laura Betti nell’ambito di un’iniziativa promossa e organizzata dall’Associazione Scenario in collaborazione con Ater Circuito Regionale Multidisciplinare.