“PASODOBLE” AL QUADRATO

[di Fabio Acca]  Partecipare a una performance di Cristina Rizzo, per le tante possibilità che nella sua ormai lunga carriera questa parola ha assunto rispetto alla rinegoziazione del concetto di spettacolo, significa misurarsi con una certa iconicità. Le sue creazioni, infatti, hanno la singolare capacità – che appartiene solo ai grandi artisti – di essere immediatamente riconoscibili e di condurre chi ne è testimone a quella particolarissima sintesi che traduce un patrimonio coreografico in una immagine mentale che si fa corpo. L’iconicità di cui stiamo parlando, però, non corrisponde mai in Rizzo a una retorica figurativa, piuttosto è il frutto di un’instancabile fame di futuro. Significa, cioè, fare i conti con il processo attraverso il quale tale immagine si condensa di volta in volta, con una insistenza anche scomoda e senza sconti, intorno a una partitura fisica imprevedibile, a una catena concettuale spiazzante o a una scrittura scenica assolutamente inconsueta. Paradossalmente, anche per staticità. È la stessa insistenza che muove un ricercatore verso l’oggetto del proprio interesse, verso la meraviglia della scoperta. Una ostinata perseveranza che può sembrare ai più un accanimento nei confronti delle logiche del tempo. Quel continuo picchiettio sul più indecifrabile dettaglio, quello stare sulle cose tanto… Continua a leggere

Share