LA DANZA CONTEMPORANEA IN SARDEGNA. Sguardi tra passato, presente e futuro dalla NID Platform 2023

[di Fabio Acca]

Dal 30 agosto al 2 settembre 2023 la città di Cagliari ha ospitato la settima edizione della NID – New Italian Dance Platform. Un progetto dalla cadenza biennale, nato nel 2012 dalla condivisione d’intenti tra gli organismi della distribuzione della danza aderenti ad ADEP (Associazione Danza Esercizio e promozione) FEDERVIVO-AGIS e costituiti in RTO (Raggruppamento Temporaneo d’Operatori), la Direzione Generale Spettacolo del MiC e le Regioni di riferimento, con lo scopo di promuovere e sostenere una selezione in qualche modo rappresentativa della produzione italiana della danza contemporanea.

Pur con un andamento che negli anni non sempre è riuscito ad allineare le aspettative dei tanti soggetti coinvolti, si tratta di una occasione per certi versi unica di scambio e dialogo tra artisti italiani e operatori del settore – nazionali e internazionali – intorno a quanto di più significativo si muove nel panorama nazionale della danza contemporanea. E questo grazie sia a una offerta di spettacoli e studi coreografici aperta alla convivenza di diversi linguaggi ed estetiche, sia alla proposta di tavoli tematici su argomenti di particolare rilievo.

Tra questi ultimi, in occasione della NID cagliaritana, il “Focus Sardegna – Sguardi dal futuro”, curato da chi scrive: una fotografia di respiro storico delle progettualità che compongono lo scenario di chi oggi opera, in una prospettiva di riconoscimento istituzionale, nell’ambito della danza contemporanea in Sardegna. Una geografia stratificata e complessa, un ricco bacino di slanci ideativi che tende a interpretare i valori della tradizione e dell’identità non in chiave celebrativa, ma in rapporto alla forza propulsiva, trasformativa e rigenerativa del contemporaneo.

Grazie anche ai contributi emersi dal confronto collettivo di chi lavora nel territorio (sintetizzati negli interventi di Giulia Muroni, Co-direttrice artistica di Fuori Margine – Centro di produzione di Danza e Arti Performative della Sardegna; Francesca La Cava, Direttrice artistica di E-Motion e Coordinatrice del MADIS – Master di 1° Livello in Danza e Inclusione Sociale; Ornella D’Agostino, Direttrice artistica di Carovana – Suono Movimento Immagine), è stato possibile gettare uno sguardo prospettico, e per certi versi distopico, sul futuro della danza in Sardegna. Una proiezione, accompagnata da domande e riflessioni, su nuove istanze progettuali, nuovi investimenti e un orizzonte sempre più allargato di alleanze culturali. Ma anche, per le sue caratteristiche geografiche e antropologiche, un possibile modello di laboratorio da estendere a chi è sensibile a una interpretazione non scontata della dialettica, oggi più che mai urgente, tra centro e periferia, tra rilevanza e marginalità.

Quello che segue è l’intervento del curatore, che ha aperto e introdotto i lavori del tavolo, editato e precisato per questa pubblicazione. Un contributo che vuole da un lato anche gettare le basi per una possibile storia della danza contemporanea in Sardegna, dall’altro indicare una strada per analizzare la danza contemporanea italiana a partire dai territori regionali che ne hanno generato gli impulsi.

Un momento del tavolo “Focus Sardegna – Sguardi dal futuro”, a cura di Fabio Acca

Una questione di identità

A cosa pensiamo quando parliamo di Sardegna? Cosa evochiamo, con la nostra immaginazione, quando ci riferiamo alla “identità sarda”? E cosa succede quando ci poniamo queste domande, oggi, nel nostro tempo, fatto di continue sollecitazioni e contaminazioni?

Potremmo rispondere che, innanzitutto, esiste una Sardegna immaginaria e una Sardegna reale. La prima, quella immaginaria, è una fotografia che tende alla conservazione, che si nutre di figure, tradizioni e miti millenari straordinari, resistenti a ogni tipo di colonizzazione culturale. Una Sardegna che – come afferma Michela Murgia – «si racconta che ci sia, che poi è la stessa cosa, perché in una terra dove il silenzio è ancora il dialetto più parlato, le parole sono luoghi più dei luoghi stessi, e generano mondi». E il paradosso vuole che questa Sardegna sia percepita per lo più come la Sardegna “vera”, autentica, incontaminata.

La seconda Sardegna è invece quella ormai da tempo coinvolta definitivamente e irreversibilmente, insieme all’Italia, nei grandi processi culturali dell’Occidente e dell’Europa in particolare, nel bene e nel male, tanto in quelli economici quanto in quelli sociali. Qualcosa che appartiene profondamente e storicamente ai Sardi, ovvero mantenere, sì, una posizione di confine, tra l’Africa e l’Europa, rivendicando però un proprio specifico posizionamento nel mondo occidentale.

Ciononostante, per l’antropologo Giulio Angioni la Sardegna continua ad avere in Europa un’immagine di diversità profonda, di luogo della differenza come pochi altri nel mondo euromediterraneo. E questo si salda, per molti versi, anche all’analoga percezione che i Sardi hanno di se stessi rispetto all’Europa e al mondo. Essere sardi, insomma, è ancora unanimemente percepito, sia dall’interno che dall’esterno, come qualcosa che ha a che fare, a torto o a ragione e non senza esotismi, con una relazione ancora forte con la natura, l’arcaico, il primitivo, la preistoria, l’incontaminato. La stessa proiezione che nel 2001 faceva dire alla grande artista Maria Lai: «Essere sardi, essere preistorici, essere solitari, poteva diventare un privilegio. E oggi sappiamo che è così». Un sentimento che fino a non tanti anni fa poteva però anche avere una piega negativa, che lasciava spesso spazio alla parola “arretratezza”. Un ritardo determinato in primis da fattori geo-politici legati all’isolamento che la condizione di insularità comporta.

Al netto di queste due polarità, una più conservativa e una più progressista, che dal secolo scorso e tuttora convivono in maniera dialettica, possiamo credo dire che la Sardegna, per lo meno in Italia e nel contesto euromediterraneo, conservi ancora i tratti di una unicità radicale e originaria. Qualcosa che ancora fa brillare la perenne attualità del suo passato, al di là e oltre, speriamo, della diffusa spettacolarizzazione che – ahimè – ripropone in maniera del tutto surrogata e degradata una iconografia dell’arcaico piegata e reinventata a scopi puramente turistici ed economici.

L’isolamento, benché relativo, storicamente patito dalla Sardegna fino agli anni Settanta del secolo scorso ha sicuramente alimentato più che in altri contesti il principio della conservazione. Tuttavia, se osserviamo con uno sguardo anche solo moderatamente antropologico le tradizioni culturali della Sardegna, siano esse colte o popolari, non potremo non coglierle come vicende di trasformazione, di innovazione, di innesto, di abbandono e rinascita, di sincretismo. Anche ciò che appare altamente significativo, appunto “perenne”, nella definizione di una identità sarda, è sempre stato in realtà il frutto di costanti contaminazioni, che tendono a polverizzare qualsiasi mito di conservazione inalterata, di arcaicità immobile, dello stesso concetto di isolamento. Ed è su questo rapporto di interscambio, tra isolamento e coinvolgimento nelle politiche del contemporaneo, tra conservazione e trasformazione, che va posto, credo, l’accento per comprendere appieno cosa è successo – e succederà sempre più in futuro – in Sardegna. Uno sguardo che salvaguardi l’unicità e la differenza, vere e presunte, di quest’isola, ma in una apertura verso la complessità del mondo circostante.

Cristian Chironi, “New-York Drive”, 2021

Anni Ottanta, una storia “italiana”

Anche la danza, tra i processi culturali della Sardegna, non è stata affatto estranea a questo tipo di evoluzioni. Soprattutto la danza contemporanea, per statuto una disciplina “colta” – come tutta l’arte contemporanea, del resto – che si nutre di continue contaminazioni. Possiamo individuare nel passaggio dagli anni Settanta agli anni Ottanta del secolo scorso lo snodo fondativo di quanto ancora oggi, sebbene in maniera molto più complessa e articolata, si muove nell’Isola nell’ambito della danza contemporanea. Infatti, a testimonianza del fatto che il concetto di isolamento culturale non va interpretato in maniera dogmatica, le trasformazioni di quegli anni hanno luogo in maniera del tutto organica a quel più ampio e coevo processo di innovazione che, negli stessi anni, investe l’Italia nel segno della Nuova Danza. E che segue da vicino l’andamento del quadro nazionale, sia in termini di riconoscimento istituzionale che di espressione delle estetiche in gioco.

Da questo punto di vista, possiamo ragionevolmente affermare che in relativamente pochi anni la scena sarda – ma sarebbe meglio dire “cagliaritana”, perché la danza contemporanea in Sardegna è sostanzialmente focalizzata, in quegli anni, nel capoluogo isolano – sviluppa una effervescenza per certi versi formidabile sul piano della progettualità. Grazie all’intraprendenza e alla visionarietà di figure raccoltesi e differenziatesi intorno ad alcune pionieristiche associazioni culturali dedicate alla danza (Paola Leoni con ASMED – Associazione Sarda Musica e Danza; Assunta Pittaluga e poi Momi Falchi e Tore Muroni con Spaziodanza; Vincenzo Puxeddu con il Centro Studi Danza Animazione Arte Terapia; Marco Frau, Roberto Calatri e Pietro De Pau con l’associazione l’Atelier), Cagliari diventa un punto di riferimento significativo nel panorama nazionale della danza contemporanea. Dal 1979, con un investimento senza precedenti per la Sardegna, in percorsi di alta formazione con maestri e artisti provenienti dalle migliori realtà nazionali e internazionali (in particolare Francia, Germania, Belgio, Spagna, Stati Uniti, ecc.), in un ventaglio di approcci stilistici assai eterogeneo; con la nascita, nel 1981, della compagnia Balletto di Sardegna; con l’inaugurazione, rispettivamente nel 1983 e nel 1985, del Festival Internazionale della Nuova Danza – FIND e del Festival Internazionale di Teatro Danza (esperienza conclusasi nel 1993-94), a cui era gemellato il Concorso Internazionale di Coreografia di Cagliari legato a sua volta a quello francese di Bagnolet.

Cagliari e la Sardegna si candidano, dunque, da subito come sorta di crocevia nazionale e internazionale di artisti, spettacoli, incontri, opportunità, che costituiscono di fatto in gran parte la base per un investimento in termini professionali, diretto o indiretto, per chi a partire dal decennio successivo continuerà a elaborare progettualità dedicate alla danza in Sardegna. Per danzatori, coreografi, direttori artistici e tutto ciò che oggi può convergere anche nel termine “curatela”.

Dal punto di vista delle risorse istituzionali e relativa accessibilità, va ricordato che in quegli anni lo scenario italiano della danza è ben lontano dalla regolamentazione e legittimazione a cui oggi assistiamo, sia sul piano nazionale che regionale.

A livello nazionale, il Fondo Unico per lo Spettacolo (oggi rinominato Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo) viene istituito nel 1985, ma bisognerà aspettare il 1997 affinché i finanziamenti per la danza cessino di essere parte delle attività riservate alla musica e venga perciò definita una quota specifica per le attività di danza, introducendo modifiche normative adatte a tradurre lo sviluppo di questo ambito disciplinare. Sono anni in cui la legittimazione istituzionale passa in maniera pressoché esclusiva attraverso il riconoscimento delle compagnie, in seguito sottoposta, pur in tempi piuttosto lunghi, a un per certi versi inesorabile processo di logoramento, che dal basso spinge il sistema a riconoscere, dagli anni Novanta, l’emergente panorama, più atomizzato, della danza contemporanea e dei suoi protagonisti.

Sul piano regionale, invece, la situazione era al tempo ancor più frastagliata e in divenire, ben lontana dallo spirito di cooperazione che oggi tende ad animare Stato e Regioni. In mancanza di una legge dedicata alle attività di spettacolo, che in Sardegna vedrà la luce solo nel 2006, le risorse per la danza dipendevano dalla capacità dei soggetti attivi sul territorio di costruire dei percorsi fiduciari e continuativi di progettazione con le istituzioni di volta in volta preposte, e le opportunità di finanziamento ad esse connesse relativamente a cultura, spettacolo, turismo, sociale, impresa, ecc.

Sta di fatto che in Sardegna, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta e per tutto il decennio, comincia a mutare la prospettiva di elaborazione progettuale generando nuovi percorsi. Non solo legati alla dimensione interpretativa o autoriale, o alla produzione di spettacoli e alla circuitazione di creazioni coreografiche in Italia e all’estero, ma esplorando quella che diverrà spesso una possibile “cifra sarda”. Ovvero l’idea che la danza possa essere anche uno strumento di indagine – sociale, politica, identitaria – intorno alla cultura del corpo. Rafforzata, nel caso della Sardegna, dalla consapevolezza di essere una terra dalle forti pulsioni identitarie, ma comunque di confine, di passaggio, di migrazione, di alterità. Un terreno di confronto in rapporto stretto con le istanze più avanzate del contemporaneo ma con una spiccata vocazione antropologica. Con una inclinazione spesso alla rielaborazione in chiave attualizzata di istanze o matrici provenienti dalla tradizione culturale isolana o più estesamente mediterranea, ma non per questo folklorica. È questo che, d’altronde, parallelamente connota i capiscuola dell’arte contemporanea sarda: Maria Lai, Costantino Nivola o Pinuccio Sciola.

La danza in Sardegna negli anni Ottanta: alcuni esempi

Sardegna ai margini

Pur con l’affacciarsi di nuovi soggetti impegnati in un dialogo di respiro nazionale e internazionale con la comunità della danza contemporanea (tra cui Tersicorea di Simonetta Pusceddu, 1989; Maurizio Saiu, poi Vox2000, dal 1992; Carovana SMI di Ornella D’Agostino, dal 1994), assistiamo a una trasformazione che non sempre ha saputo interpretare le esigenze degli artisti. Un disallineamento istituzionale che tendendo a sostenere soprattutto i progetti già esistenti di programmazione dello spettacolo, produceva un disequilibrio sul piano delle risorse dedicate invece alla formazione professionale e alla produzione di nuove creatività.

Se da un lato, dunque, si assiste a un rafforzamento di buona parte delle progettualità che puntavano principalmente sulla programmazione di artisti nazionali e internazionali (è da segnalare la nascita, nel 1995, del festival Autunno Danza; e quella del Circuito Regionale della Danza in seno all’Associazione Enti Locali per lo Spettacolo, che troverà nel 2003 un formale riconoscimento); dall’altro lato questa condizione spinge gli artisti emergenti ad alimentare opportunità produttive e percorsi formativi fuori dalla Sardegna.

Ciò che emerge nel 2001 da uno studio avviato dal 1998 dall’Osservatorio dello Spettacolo dell’allora Ente Teatrale Italiano, al di là di poche singole progettualità che continuano ad essere ben presenti nel quadro regionale e nazionale, a livello sistemico la danza contemporanea sarda e più in generale lo scenario dello spettacolo dal vivo isolano sembrano stazionare in una sorta di cono d’ombra. Una percezione in qualche modo ratificata dall’inserimento della regione tra le cosiddette “aree disagiate” (insieme a Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Valle d’Aosta), il cui consumo culturale e di spettacolo risulta significativamente al di sotto della media nazionale. Una tendenza, questa, che negli anni successivi non si sarebbe attenuata, anzi, per certi versi si sarebbe amplificata, se pensiamo che tra il 2006 e il 2011 il calo medio del numero di rappresentazioni dal vivo in Italia è pari a -0,04%., mentre in Sardegna la flessione media assume proporzioni del -4,7% (-3,5 per la danza), con il 2011 annus horribilis, l’anno a cui corrisponde il numero più basso di rappresentazioni di spettacolo dal vivo.

Un altro segnale di questa percezione della Sardegna, anche dall’interno, come un territorio svantaggiato è alla base, nel 2005, della nascita del CORDIS (Coordinamento Regionale Danza in Sardegna), nel quale si raccoglie gran parte delle realtà di danza contemporanea legate alla Sardegna: giovani e meno giovani, istituzionalmente riconosciute o indipendenti, residenti sia in regione che nella Penisola. Spinte dall’esigenza condivisa di porre con forza una istanza comune per avviare un percorso finalizzato a un riconoscimento istituzionale aggiornato, più plurale e meno protezionistico, da parte della Regione. E in questo si proponeva dunque di portare avanti gli impulsi nati già a partire dagli anni Novanta per dare visibilità a progetti e percorsi esistenti, nell’idea che la Sardegna potesse essere un territorio fertile e accogliente per un discorso sul contemporaneo aperto anche alle generazioni di chi magari ritornava in Sardegna dopo esperienze all’estero o nazionali spesso piuttosto importanti (in questo senso, oltre ai nomi già citati di Pittaluga, Falchi, Pusceddu, Saiu e D’Agostino, è doveroso ricordare l’apporto “dal basso” di soggetti allora progettualmente emergenti tra i quali Alessandro Carboni/Ooffouro, Carla Onni/ImprovvisaMente, Enrica Spada/Ars et Inventio, Rita Spadola/Caranas 108).

Il coordinamento, tuttavia, ebbe vita breve, in difficoltà nel trovare una sintesi tra le tante voci che ne animavano il dibattito. Ma comunque fu importante come segnale di una scena pulsante, esistente, che reclamava un riconoscimento e che in qualche misura contribuì all’indirizzo del disegno di legge regionale sullo spettacolo dal vivo in Sardegna del 2006. Una legge che, in particolare, andava a recepire le evoluzioni che parallelamente si esprimevano a livello nazionale sul medesimo comparto. È, infatti, del 2007 il DM che raccoglie i significativi cambiamenti intervenuti, tanto da articolare in maniera progressivamente più chiara le azioni di intervento nell’ambito della danza e i rispettivi finanziamenti per un comparto inteso come pluralità di azioni (produzione, programmazione, distribuzione, promozione, formazione) ispirate a criteri di riconoscimento della qualità, dell’innovazione, dell’internazionalizzazione, del riequilibrio territoriale, del coinvolgimento delle forze sociali, ecc.). Sarà poi nel 2014, a seguire con i successivi DM del 2017 e fino a oggi, che il panorama della danza, anche in Sardegna, sarà ulteriormente riconosciuto come un universo complesso, sempre più articolato nella sua diversità e stratificazione.

Distribuzione delle risorse FUS 2007

La danza contemporanea in Sardegna oggi

Da questo concetto di complessità, pluralità, stratificazione e – direi – ricchezza, bisogna ripartire per fotografare “al presente” la realtà della danza contemporanea in Sardegna. Si può ancora parlare di marginalità? E in quali termini?

Se ne osserviamo le dinamiche dal punto di vista della pura distribuzione delle risorse ministeriali dedicate al comparto a partire dal 2007 e fino a oggi, va riconosciuta alla Sardegna una crescita piuttosto significativa. I soggetti finanziati sono più che raddoppiati, passando da 5 a 11 (più 1, se consideriamo anche le risorse relative alla quota danza del circuito multidisciplinare CeDAC), coprendo quindi buona parte dell’intero spettro di azioni riconosciute. Questo accade a fronte di un contributo complessivo che è passato dai 165.000 euro del 2007 al 1.052.829 euro del 2023 (senza tenere qui in considerazione la quota del multidisciplinare); quindi con un valore percentuale su scala nazionale che, in attesa dell’elaborazione comparata dei dati da parte dell’Osservatorio dello Spettacolo del MIC, si andrà ad attestare oltre il 4,37 % del 2021 (nel 2007 il dato era invece al 2,3 %). Numeri sicuramente parziali ma incoraggianti, che costituiscono degli indicatori di crescita in un parallelo quadro di investimento nazionale nel settore della danza.

Per evitare facili entusiasmi va però ricordato che a livello nazionale il comparto danza corrisponde a circa il 3-4% dell’intero Fondo Nazionale. Dove comunque il dato della Sardegna nel 2023, se consolidato, si può dire vada ad acquistare uno slancio piuttosto significativo e una posizione onorevole, sicuramente tra quelle del sud, attestandosi in una comunque “onesta” posizione tendenzialmente intermedia, alimentando quella percezione della Sardegna di eterno confine tra periferia e centro. Quindi, da questo punto di osservazione, la risposta alla marginalità, per lo meno in una visione nazionale, è “sì”, ma con un rinnovato impulso che potrebbe fare da volano anche per un ulteriore futuro potenziamento.

Se invece osserviamo il panorama sardo dal punto di vista delle progettualità, delle estetiche, del dinamismo culturale, ebbene, anch’esso negli ultimi anni aspira con sempre maggiore determinazione a presentarsi come un vivace laboratorio culturale, a partire proprio dalla sua specificità, suscettibile di ulteriori importanti accelerazioni. Ma anche grazie alla presenza di nuovi soggetti che – non ultimo in virtù di quello snodo strategico che fu il progetto per la candidatura di Cagliari a Città Europea della Cultura 2019, che ha consentito al capoluogo sardo di raggiungere nel 2015 l’importante traguardo di Città Italiana della Cultura – hanno immesso nello scenario sardo nuove idee, energie produttive, sensibilità curatoriali. Pensiamo in particolare a realtà come quelle di Massimo Mancini/Teatro di Sardegna e Maria Paola Zedda/Zeit.

Come abbiamo accennato, oggi la Sardegna conta 11 soggetti finanziati dal Ministero della Cultura (si veda la figura qui di seguito, dove per ciascuno sono indicati la sede, l’articolo di finanziamento e i progetti prevalenti): ASMED, Danza Estemporada, Oltrenotte, S’Ala, Spaziodanza, Maya Inc., Danzaeventi, Tersicorea, Teatro di Sardegna, Carovana SMI, Zeit. A cui si aggiunge un “ospite”, il Gruppo E-Motion diretto da Francesca La Cava, che realizza in Sardegna il Master di 1° livello in Danza e Inclusione Sociale (MaDIS), promosso dall’Accademia Nazionale di Danza in collaborazione con l’Associazione Enti Locali per le Attività Culturali e di Spettacolo, il CeDAC/Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna e le associazioni Tersicorea, Maya Inc. e ASMED.

Va però sottolineato che l’inquadramento ministeriale non va qui inteso in maniera totalizzante. Perché oltre a non tenere conto, come sempre accade, delle stratificazioni ben più complesse di un territorio, contempla solo un’azione – benché prevalente – dei soggetti finanziati, le cui articolata progettualità si estende in alleanze artistiche e produttive di più ampio respiro, in partecipazioni a reti o a forme di intervento su scala nazionale e internazionale.

 

In conclusione, due riflessioni

Questa mappa consente di sollevare almeno due punti di riflessione. Prima di tutto, la danza contemporanea in Sardegna non significa più solo Cagliari. Piuttosto recepisce con forza una doppia polarizzazione che comprende ormai stabilmente anche Sassari, e che si ramifica in interventi su gran parte della regione con un forte impegno di “andata e ritorno” rispetto alle dinamiche nazionali e internazionali. Ne sono fresca testimonianza, in questa fase di “nuova ondata”, le realtà che hanno recentemente ottenuto il riconoscimento ministeriale come prime istanze triennali, S’Ala/Igor x Moreno, Oltrenotte, Spaziodanza/Fuorimargine e Zeit: Organismi di Produzione le prime due, Centro di Produzione la terza, Azione trasversale – Promozione danza coesione e inclusione sociale la quarta.

In secondo luogo, legato a quest’ultima questione di una Sardegna expanded, cioè proiettata oltre i propri confini geografici e culturali, assistiamo con sempre maggiore forza a progettualità che fanno tesoro di una collocazione della danza e della coreografia non solo come spettacolo, ma come una intensità performativa sensibile alla dimensione pubblica e partecipativa, alle identità comunitarie presenti nel territorio, come esperienza nei paesaggi naturali e nel tessuto urbano, ridisegnandone in parte la geografia culturale e sociale in una costante e felice dialettica tra centro e periferie. Coreografia, dunque, intesa come progettualità di ibridazione identitaria e disciplinare, a vocazione internazionale, con una sensibilità antropologica e politica, insieme a una solidità professionale ormai consolidata.

Questo ci induce a credere e sperare che – al netto della controversa mancanza di progetti sardi selezionati per questa settima edizione – l’occasione di incontro fornita dalla NID a Cagliari corrisponda a un segnale importante per il settore danza della regione, non solo per elaborare informazioni e relazioni, ma anche di crescita e consolidamento progettuale, per il formidabile significato, insieme simbolico e istituzionale, che la NID, da sempre, comporta.

 

Bibliografia di riferimento

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– D.D.G. 1° agosto 2023, rep. n. 1105 di assegnazione dei contributi FNSV 2023 per l’ambito Danza; https://spettacolo.cultura.gov.it/fnsv-triennio-2022-2024-anno-2023-danza-assegnazione-contributi/

– S. Tomassini, Danze fuori dal mondo e danze fuori posto alla NID, in «Teatro e Critica», 10 settembre 2023; https://www.teatroecritica.net/2023/09/danze-fuori-dal-mondo-e-danze-fuori-posto-alla-nid/.

– Relazioni sull’utilizzazione del Fondo Unico per lo Spettacolo e sull’andamento complessivo dello Spettacolo in Italia, annualmente elaborate e fornite dall’Osservatorio dello Spettacolo del Ministero della Cultura. La documentazione è disponibile sul sito del medesimo Ministero al seguente link: https://spettacolo.cultura.gov.it/osservatorio-dello-spettacolo/relazioni-al-parlamento/.

Un ringraziamento particolare a Cristiana Camba, Massimo Carosi, Ornella D’Agostino, Francesca La Cava, Momi Falchi, Lello Giua, Vincenzo Puxeddu e Maurizio Saiu per le generose conversazioni e le preziose informazioni sulla danza in Sardegna condivise negli ultimi mesi.

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