Theatrum Mundi per l’ISTA 2023

[di Gaia Diana Dalia Gulizia]

 

Una cinquantina di giovani (e meno giovani) provenienti da tutta Europa si muove sul grande palcoscenico del Teatro Nazionale di Budapest. Fanno corona ad alcuni fra i maggiori esponenti dei teatri classici asiatici, dal Giappone alla Cina, dall’India a Bali, ma anche ad attori, danzatori e musicisti brasiliani, inglesi, danesi, argentini, italiani. Alla guida delle operazioni c’è Eugenio Barba, uno dei più influenti uomini di teatro del nostro tempo, fondatore nel 1964 del leggendario Odin Teatret e, nel 1979, dell’ISTA, International School of Theatre Anthropology. L’ISTA ha appena fatto tappa in Ungheria e questo è il suo spettacolo finale. Si intitola Anástasis (Resurrezione). Dal cuore di un’Europa tentata dal chiudersi dentro le illusorie sicurezze di identità nazionali quasi sempre per giunta “fasulle”, arriva un segnale potente “in direzione ostinata e contraria”, cioè quella che scommette sul valore del dialogo e della condivisione interculturali e multietnici. Un segnale tanto più potente perché affidato ai corpi e alle voci della Next Generation EU, infinitamente più persuasivi di qualunque ideologia.  Abbiamo invitato una partecipante a questa sessione dell’ISTA a scrivere una sua testimonianza, che presentiamo corredata dal prezioso contributo iconografico di Francesco Galli, fotografo ufficiale della manifestazione*.

Marco De Marinis

 

Theatrum Mundi Ensemble − progetto nato nell’ambito dell’ISTA, la Scuola Internazionale di Antropologia Teatrale fondata da Eugenio Barba nel 1979 − riunisce esponenti provenienti da discipline artistiche e tradizioni culturali diverse, che formano parte del gruppo di ricerca guidato dallo stesso Barba.

Come partecipante alla XVII edizione dell’ISTA, che si è svolta nel maggio 2023 in Ungheria (fra Pécsvàrad e Budapest), ho avuto modo di fare esperienza diretta del processo di lavoro dell’Ensemble, osservando da vicino le basi delle tradizioni che ogni artista porta con sé. In alcuni casi esse coincidono con l’identità culturale, mentre in altri diventano identità professionale, ovvero il risultato di un lungo e approfondito apprendimento che l’artista intraprende per sua scelta.

Fotografia di gruppo con i partecipanti e con i maestri della XVII ISTA-NG sullo Ziggurat di fronte al Teatro Nazionale di Budapest.

Annada Prasanna Pattanaik (India, musica tradizionale hindi), Keiin Yoshimura (Giappone, Kamigatamai dance), Parvathy Baul (India, canto e danza Baul), I Wayan Bawa (Bali, teatro danza Gambuh), Alicio Amaral e Juliana Pardo (Brasile, Mundu Rodà, teatro danza cavalo marinho), Yalan Lin (Taiwan, teatro danza Nanguan), Caterina Scotti (Italia, Teatro Tascabile, Flamenco), Alessandro Rigoletti (Italia, Teatro Tascabile, Katakhali), Ana Woolf (Argentina, teatro danza/tecnica Tadashi Suzuki), Julia Varley (Danimarca, training vocale): questi i Maestri di Theatrum Mundi, provenienti da sei paesi diversi, portavoce di discipline che coinvolgono il lavoro sul corpo e sulla voce in modo diverso e complementare.

Oltre a loro, protagonisti dello spettacolo Anástasis (Resurrection) sono stati anche Lorenzo Gleijeses, Istvàn Berec, Ibolya Pàli, Ricardo Gomes, Rodrigo Lopes dos Reis e Matheus de Aquino, e tutti i partecipanti alla XVII edizione dell’ISTA.

I maestri della XVII ISTA-NG, da sinistra in piedi: Eugenio Barba, Alessandro Rigoletti, Juliana Pardo, Alício Amaral, Keiin Yoshimura, Annada Prasanna Pattanaik, I Wayan Bawa; seduti: Ana Woolf, Yalan Lin, Parvathy Baul, Julia Varley, Caterina Scotti, So Sugiura.

Il programma dell’ISTA ha visto alternarsi incontri teorici con i singoli artisti all’applicazione pratica di principi, introdotti attraverso l’illustrazione di brevi sequenze di lavoro tratte dal loro repertorio. In parallelo, ogni giorno si sono svolte sessioni di studio per conoscere la biografia umana e professionale dei Maestri, per assorbire e apprendere le basi delle tradizioni da loro stessi presentate.

Il programma delle due settimane di attività è stato molto intenso. La giornata iniziava nella luce del primo mattino, con una riunione silenziosa sul piccolo colle poco distante dall’antico monastero nel quale eravamo ospitati a Pécsvàrad, e dove − a rotazione − gli artisti salutavano il nuovo giorno con una breve performance. Dopo la colazione avevano inizio le sessioni di studio condotte dai Maestri, cui seguiva una dimostrazione di lavoro.

Nel pomeriggio il lavoro proseguiva con i barters, scambi liberi e spontanei fra i partecipanti, e il laboratorio di composizione fisica e vocale di Julia Varley, concluso da un incontro giornaliero con Eugenio Barba sul tema della pre-espressività e del montaggio scenico. La serata era, infine, dedicata alla visione delle performance dei Maestri ospitate dal Bobita Puppet Theatre di Pécs.

Yalan Lyn durante la fase di preparazione e di trucco prima dello spettacolo Nanguan, presentato ai partecipanti dell’ISTA e al pubblico.

Partecipare al percorso di studio dell’ISTA dà modo di fare esperienza diretta dei principi che ritornano. Questi elementi comuni, che ricorrono in tradizioni molto diverse fra loro, hanno tutti a che vedere con la pre-espressività del corpo del performer, ovvero di un “corpo-in-vita” capace di conquistare e tenere desta l’attenzione dello spettatore. A tal fine, il performer deve attuare un comportamento diverso da quello quotidiano, che trascenda la personalità dell’artista mettendo in campo un surplus di energia fisica e mentale. In ciò consiste la tecnica dell’attore-danzatore.

Gli artisti e Maestri si sono spesi con generosità, prestandosi alla “sfida” che Barba ha proposto loro, affinché potesse essere offerta una prova tangibile dell’analisi transculturale che l’antropologia teatrale sviluppa.

Eugenio Barga e Yalan Lin: viene analizzato il rapporto tra la posizione del ventre-bacino e l’altezza dell’attrice/danzatrice.

Eugenio Barba analizza la posizione della mano di I Wayan Bawa.

Osservando gli scambi che ne nascevano, si è avuta la possibilità di comprendere cosa significhi tornare a una “infanzia professionale”: guardare con occhi nuovi principi che appaiono alieni a quelli familiari, per assimilarli gradualmente nel sistema corpo-mente. Nel corso delle giornate di studio sono emersi alcuni concetti chiave, in seguito sperimentati concretamente durante le lezioni, ripetuti, assimilati e poi messi in pratica in vista dell’esito finale, lo spettacolo Anástasis (Resurrection) ideato e diretto da Eugenio Barba.

Un gruppo di partecipanti, condotto da Juliana Pardo e da Alício Amaral, si esercita nella danza con gli archi in preparazione del coro per lo spettacolo Anástasis (Resurrection).

La cinestetica, ovvero la scienza della percezione del movimento, è fondamentale affinché l’attore e il danzatore riescano a conquistare l’attenzione dello spettatore. Il processo di apprendimento cinestetico riguarda la capacità di imparare facendo, ovvero ciò che si sperimenta durante le sessioni dell’ISTA, attraverso un processo che include la fase dell’osservazione e quella dell’imitazione. Così operando, l’identità culturale delle proprie origini viene integrata con elementi di altre culture e altri generi artistici.

L’ISTA − afferma Barba − è stata definita anche “la scuola del vedere”: apprendiamo guardando con occhi e mente e, prestando attenzione al nostro corpo, ci possiamo accorgere che, quando lo percepiamo svuotato di energia, è perché sono venute a mancare le radici.

Un esempio evidente è il sats, codificato da Eugenio Barba insieme agli attori dell’Odin Teatret e ricorrente in tutte le tradizioni delle arti performative. Il sats permette di contenere una riserva di energia interna pronta a esprimersi all’esterno passando dall’intenzione all’azione, conferendo presenza al performer e mettendone in evidenza il bios scenico.

Un gruppo di lavoro, condotto da Alessandro Rigoletti, esegue di fronte agli altri partecipanti una sequenza di passi del teatro Kathakali.

In tutte le tradizioni, i principi che trasformano il corpo in energia hanno come proposito lo spostamento dell’equilibrio dal centro ordinario, allentando la distanza fra il pensiero e l’azione, fra la mente e il corpo. Il corpo può essere un’orchestra, nella quale le singole parti suonano una melodia che confluisce nella sinfonia della danza organica: lo dimostrano discipline come il Kathakali indiano e il teatro danza balinese Gambuh, dove ogni parte del corpo concorre a comporre la narrazione. Per acquisire la conoscenza a livello fisico oltre che intellettuale, siamo stai invitati a modellare il nostro fisico, forzandoci ad assumere una postura inconsueta e a percepire la qualità diversa dell’energia che ne scaturisce.

Montaggio e prove dello spettacoloAnástasis (Resurrection). Da sinistra: Eugenio Barba, il gruppo di musicisti, I Wayan Bawa e Parvathy Baul.

Per dare vita a un corpo organico gli attori lavorano su un ritmo ternario, diverso da quello binario naturale. Attraverso la dimostrazione delle sequenze fisiche e vocali che montate fra loro danno vita a una “composizione” performativa (scores, partiture nel linguaggio tecnico dell’Odin Teatret), abbiamo riscontrato come il cambiamento della frequenza del movimento, le variazioni e gli impulsi, possano creare nell’attore come nello spettatore una percezione differente, e conseguentemente stati emotivi di colore diverso. Ne abbiao fatto esperienza studiando la partitura fisica e vocale del canto Baul e i diversi modi in cui la voce è incarnata nel corpo attraverso il training vocale condotto da Julia Varley.

Montaggio e prove dello spettacolo Anástasis (Resurrection). Da sinistra: Lorenzo Gleijeses, Keiin Yoshimura, Matheus de Aquino, Eugenio Barba.

Sperimentando le variazioni del ritmo, si può osservare che forme di teatro-danza molto diverse fra loro, come la Kamigate Mai Dance giapponese e la danza popolare brasiliana del Cavalo Marinho, racchiudano la stessa intensità, incanalata in direzioni diverse: l’energia extra-quotidiana nelle tradizioni occidentali è espansiva ed espressiva, mentre è più interiore e concentrata in quelle orientali. Il ritmo, inoltre, è presente anche nell’apparente immobilità del corpo, che racchiude impulsi invisibili che lavorano attraverso il movimento interno.

L’importanza dei più minuti dettagli che compongono una partitura è stata evidenziata attraverso la pratica del Flamenco e del teatro danza Nanguan, ed è emerso come dalla ferma disciplina della tecnica Suzuki possa nascere una grande fluidità.

Montaggio e prove dello spettacoloAnástasis (Resurrection). Da sinistra: Lorenzo Gleijeses, Yalan Lin, Julia Varley, Eugenio Barba.

Theatrum Mundi (lo spettacolo che chiude spesso le sessioni dell’ISTA) è l’incarnazione della possibilità di dialogo fra culture e tradizioni artistiche diverse: gli artisti non abbandonano la propria tradizione a favore di un’altra, ma portano il loro peculiare saper fare in un incontro transculturale che dà vita a qualcosa di nuovo, dove è il senso a essere importante, al di là del significato. L’alternanza fra ascolto e pratica culmina nel risultato scenico: il percorso dalla pre-espressività al montaggio è composto da elementi studiati nel dettaglio, accostati fra loro e poi fusi nell’esito finale.

Dopo una settimana di ricerca, siamo entrati nel processo di lavoro che ha portato alla nascita di Anástasis (Resurrection): il montaggio delle singole scene ha permesso di intravedere gradualmente il volto dello spettacolo, che, come una creatura vivente, iniziava a respirare.

Montaggio e prove dello spettacoloAnástasis (Resurrection). Da sinistra: Parvathy Baul, Juliana Pardo con il bue (Rodrigo Lopes dos Reis), Denis Lavie, Eirini Sfyri, Eugenio Barba.

Anástasis celebra il potere della vita che si rigenera incessantemente; ma celebra anche la bellezza delle arti performative e la ricchezza apportata dalla loro varietà, grazie all’intreccio degli stili incarnati dai Maestri.

Nella fase finale dell’ISTA, Maestri e partecipanti hanno lavorato con l’obiettivo della performance che sarebbe andata in scena nell’ambito delle Olimpiadi del Teatro al Teatro Nazionale di Budapest.

Anástasis (Resurrection), Teatro Nazionale di Budapest. “Festa brasiliana. Un gruppo di persone felici celebra la vitalità di un bue”: il coro, costituito dai partecipanti dell’ISTA, esegue una partitura tratta dalla danza con gli archi Bumba Meu Boi.

I singoli gruppi nei quali erano stati suddivisi i partecipanti durante le lezioni si sono uniti in un unico collettivo di lavoro, per realizzare le singole scene dello spettacolo, parte integrante del processo di apprendimento dell’ISTA.

Il ruolo dei partecipanti è stato quello di componenti del coro che ha accompagnato lo svolgersi dei singoli quadri dello spettacolo concepito da Eugenio Barba. Un processo di lavoro che ha portato a mettere in forma scenica gli elementi appresi durante le sessioni di studio.

I passi di danza della festa brasiliana del Cavalo Marinho do Bumba Meu Boi trasmessi da Juliana Pardo e Alicio Amaral sono progressivamente diventati una coreografia per l’introduzione dell’ingresso del bue, fil rouge simbolico dello spettacolo.

Anástasis (Resurrection), Teatro Nazionale di Budapest. “Un gruppo di persone felici celebra la vitalità di un toro”, da sinistra: il bue (Rodrigo Lopes dos Reis) e Gyan Ros Zimmermann.

Con la guida di Julia Varley si è lavorato alla creazione di un canto collettivo: ciascun componente ha presentato alcuni canti delle proprie tradizioni, intonati con un’unica voce.

Parvathy Baul ha accompagnato il gruppo nella dimensione mistica della tradizione dei Baul, attraverso un canto al quale è stato dato voce e gestualità, traducendo lo spirito di devozione con il quale i cantastorie Baul incarnano la propria arte.

Ana Woolf ha composto una successione di passi della tecnica Suzuki partendo dalle radici, ovvero i piedi, nei quali si concentra tutta l’energia espressiva, sottraendola al volto.

Alcuni frammenti del repertorio di scena dei singoli artisti sono stati inseriti nel montaggio dello spettacolo, rinnovandoli nel contesto nuovo di Anástasis: il monologo di Lorenzo Gleijeses, tratto dalla performance Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, ha assunto nuovi significati e intensificato le sue sfumature, grazie anche alla connessione con il personaggio di Yalan Lin, il cui canto, nato in un ambito diverso, ha sortito uno scambio che ha dato vita a un dialogo intensamente espressivo.

Anástasis (Resurrection), Teatro Nazionale di Budapest. “Il funerale del bambino, i genitori piangono il figlio morto”, da sinistra: Julia Varley, Parvathy Baul, Lorenzo Gleijeses, Yalan Lin, Matheus de Aquino e I Wayan Bawa.

Il personaggio di Mr Peanut “indossato” da Julia Varley ha accompagnato lo svolgersi dello spettacolo come elemento significante di ogni quadro, e i personaggi delle maschere balinesi di I Wayan Bawa sono intervenuti come sorta di punto esclamativo nei momenti nodali.

Anástasis (Resurrection), Teatro Nazionale di Budapest. “Sfoggio di audacia”, da sinistra: Alício Amaral, Julia Varley e il bue (Rodrigo Lopes dos Reis).

La chiave di tutto il lavoro si può rintracciare nella maggiore importanza assunta dal processo rispetto al risultato. Alla base della costruzione delle singole scene è stato il lavoro sulla “necessità” di ogni azione, perché potesse risultare viva, pulsante e credibile. Ogni scena è stata creata modellando la materia viva, attraverso una ricerca attenta e l’alleggerimento da tutto il superfluo. Si è lavorato sull’organicità e l’armonia complessive, con l’intenzione di restituire un senso che, ancora una volta, andasse oltre il significato.

Anstásis (Resurrection), Teatro Nazionale di Budapest. “Il bue e il bambino risorgono e lo spettacolo finisce con la Morte divenuta Vita, tra gli attori che cantano una canzone tradizionale ungherese”: il coro dei partecipanti, Matheus de Aquino, Julia Varley e il bue (Rodrigo Lopes dos Reis).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* Le didascalie sono a cura di Francesco Galli con la supervisione di Leonardo Mancini. Tutte le immagini sono coperte da copyright (© Francesco Galli).

 

 

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