[di Claudia Olivieri]
Gogol’ (cade in scena da dietro le quinte e se ne resta pacificamente sdraiato).
Puškin (entra, inciampa in Gogol’ e cade): Maledizione! Non sarà mica Gogol’?
Gogol’ (tirandosi su): Che schifo! Non si può riposare un attimo! (Si allontana, inciampa in Puškin e cade) Non mi sarà mica capitato tra i piedi Puškin!
Puškin (tirandosi su): Non c’è un attimo di pace! (Si allontana inciampa in Gogol’ e cade) Maledizione! Non sarà mica ancora Gogol’?
Gogol’ (tirandosi su): Ce n’è sempre una! (Si allontana, inciampa in Puškin e cade) Che schifo! Ancora Puškin!
Puškin (tirandosi su): Ma questo è teppismo! Vero e proprio teppismo! (Si allontana inciampa in Gogol’ e cade) Maledizione! Ancora Gogol’.
Gogol’ (tirandosi su): Ma questa è una presa in giro! (Si allontana, inciampa in Puškin e cade) Ancora Puškin!
Puškin (tirandosi su): Maledizione! È proprio una maledizione! (Si allontana inciampa in Gogol’ e cade) Gogol’!
Gogol’ (tirandosi su): Che schifo! (Si allontana, inciampa in Puškin e cade) Puškin!
Puškin (tirandosi su): Maledizione! (Si allontana inciampa in Gogol’ e cade al di là delle quinte) Gogol’!
Gogol’ (tirandosi su): Che schifo! (Esce di scena)
Da dietro la scena si sente la voce di Puškin: Gogol’!
Sipario.
Daniil Charms
Prologo
La geografia a Mosca è tutto, specialmente se prossima alla letteratura (e lo è quasi sempre). La nostra si estende a ridosso della Stazione Kursk, lo snodo ferroviario dal quale inizia il viaggio metafisico da Mosca a Petuški di Venička Erofeev (2001: 17-18), e più precisamente nel micro-quartiere dei conciatori (syromjatniki), poi ampliatosi in un fiorente distretto proto-industriale oggi very cool. Vi sorge il Teatro che sarà oggetto delle pagine a seguire. E che nel corso della sua storia cambia ripetutamente denominazione (e sostanza), esibendo già nella presentazione di sé intenti diversi, se non opposti. L’avvicendarsi serrato dei nomi evoca la scenetta di Daniil Charms (2008: 14) riportata in epigrafe, non foss’altro perché in essa si alternano – su un palcoscenico – Puškin e Gogol’, il celeberrimo autore delle Anime morte, a cui ad oggi il teatro è intitolato. Ma l’atmosfera grottesca, ancorché surreale, di questo caso drammatico (trasformato in una Charmsiada a fumetti altrettanto assurda: Nikitin, 1998), rende il parallelismo ancora più attinente.
La storia del Teatro Gogol’ comincia nel 1925, quando la sezione artistica del sindacato dei ferrovieri, guidata da Kirill Golovanov, dà vita a un Teatro itinerante del dramma e della commedia che allestisce concerti e spettacoli educativo-propagandistici; nel 1931 (e poi nel 1939) diventa un più generico Teatro dei trasporti e qualche anno dopo (1943) ottiene la sua sede definitiva (e attuale) alla via Kazakov 8a, in un edificio pre-rivoluzionario adibito a deposito della adiacente ferrovia che aveva già ospitato un teatro e un club (di nuovo la letteratura! In un simile Circolo dei ferrovieri si conclude il romanzo Le 12 sedie di Il’f e Petrov). In occasione del 150° anniversario della nascita di Nikolaj Vasil’evič lo stabile viene solennemente ribattezzato Teatro drammatico di Mosca N.V. Gogol’[1]. Sotto questa insegna, per tutta l’epoca sovietica (e oltre) si succedono direttori e attori dall’approccio e repertorio sostanzialmente classici non privi di ciclici rinnovamenti. Dal 1987 al 2012 la direzione è affidata a Sergej Jašin, il cui stile registico – leggo su Wikipedia alla voce Teatro Gogol’ – «è caratterizzato dalla sintesi di raffinata poeticità, analisi psicologica, vivace teatralità».
Dietro le quinte. E poi davanti
In seguito la geografia – e di conseguenza la narrazione – muta, generando un nuovo «centro di forza» (Alekseeva, Tomilin, 2021): sono i prodromi di quel “parco della cultura”, che esaminerò a breve. Non lontano dal teatro, nel 2007 inaugura il Centro di arte contemporanea Vinzavod, il primo cluster della capitale insediatosi nei locali dismessi dell’ex fabbrica vinicola (e birrificio) “Bavaria moscovita”. Ed è subito tendenza. A breve distanza temporale e spaziale seguono il Centro di design Artplay e il business-district Arma, che occupano rispettivamente l’ampio territorio di uno stabilimento termoenergetico e di un’industria di gas illuminanti [2].
Pure la scena teatrale (e politica) si rigenera. Eletto Presidente nel 2008, Dmitrij Medvedev proclama e impone la modernizazia del Paese. Durante il suo mandato viene riformata la normativa per il finanziamento dei teatri ed elaborato il Piano di sviluppo a lungo termine delle attività teatrali nella Federazione Russa (2011-2020) [3]. La prima converte i teatri in imprese, legittima di fatto un maggiore controllo statale e incide sull’aumento dei costi per la gestione e la fruizione del mercato drammaturgico. Di contro il Piano ostenta un impianto piuttosto “liberale”: ossequia la tradizione, ma incoraggia «nuovi impulsi» per ampliarla (leggi: svecchiarla) e l’integrazione nel panorama internazionale (con studi, scambi, tournée, traduzioni di opere straniere). Il teatro diviene uno spazio aperto e multifunzionale, organizzato sul modello europeo, che dispone di lounge bar, bookstore, corner talk; oltre gli spettacoli vi si svolgono concerti, proiezioni, lezioni e dibattiti letterari e vi si può bazzicare pure di giorno. Gli spettatori “ringiovaniscono” e si moltiplicano; i numeri e le sale esplodono; variano le abitudini, il pubblico, la drammaturgia con i suoi corifei e innumerevoli generi. «Vengono create le condizioni per la comparsa di teatri stabili contemporanei, orientati sulla sperimentazione» (Parchomovskaja, 2017) [4].
È in un simile scenario, comunque voluto e predisposto “dall’alto”, che Kirill Serebrennikov concepisce il progetto PLATFØRMA e si stabilisce a Vinzavod. L’artista vanta già una carriera di tutto rispetto, molteplici collaborazioni con i maggiori teatri della capitale e regie di successo; per citarne solo alcune: Izobražaja žertvu (Playing the Victim), allestita allo MChT Čechov (2004), portata sullo schermo e premiata al I Festival del cinema di Roma (2007); la scandalosa Golaja pionerka (La pioniera nuda, Sovremennik, 2005); Okolonulja (Vicinoallozero, Teatro Tabakov, 2011), tratta dall’omonimo romanzo di Natan Dubovickij alias Vladislav Surkov, potentissima eminenza grigia dell’Amministrazione presidenziale.
Con tale portfolio Serebrennikov il 24 marzo 2011 partecipa all’incontro tra Medvedev e gli esponenti della sfera culturale; il suo scambio di battute con il Presidente è ormai storia e potrebbe fornire materiale per una pièce oppure – osserva una colonnista di «Forbes» – per «il siparietto di un romanzo di Gogol’» (Čugunkina, 2011):
Dmitrij Medvedev: Desidererei che mi esponeste cosa deve fare lo stato, affinché l’arte contemporanea possa finalmente espandersi nel nostro paese; perché il nostro è davvero un grande paese […] e le nostre conquiste nel campo dell’arte classica sono note in tutto il mondo. […] Circola la falsa opinione che un’arte contemporanea e attuale esista negli altri paesi e nel nostro arranchi in una condizione pietosa e semilegale.
Kirill Serebrennikov: Salve, mi chiamo Kirill. […] Quando ti incontri con il capo dello stato è come se bisogna lanciare un grido di aiuto: salvateci! soccorreteci! Da un lato non lo si vorrebbe fare, dall’altro, a volte si deve. Parlerò di una cosa, di un’idea che ho. […] Alle spalle abbiamo più spaccati sociali dei quali difendiamo gli interessi. […] A Mosca sono praticamente scomparsi gli spazi per la sperimentazione, per la ricerca di una nuova lingua e di forme altre, diverse di comunicazione con il pubblico. Il pubblico cambia e le persone che oggi vengono a teatro sono altre. […] Dobbiamo stabilire una comunicazione, ma non c’è il posto dove farlo e questo è un problema. Per la salvaguardia della tradizione posti ce ne sono quanti ne vuoi; […] ce ne stiamo appollaiati sulla tradizione come cavalieri avari. La tradizione è una cosa fantastica, non dobbiamo affatto rinnegarla. Ma l’idea di cui parlo può essere interessante, perché è un progetto avviato da due forze uguali e opposte.
- M.: Quali?
- S.: Da una parte lo MChT Čechov, che sarebbe il baluardo della tradizione. Dall’altra il Vinzavod, ecco: c’è Sonja Trocenko qui seduta. Lavorando insieme, allestendo gli spettacoli al Vinzavod, anche con i miei studenti, abbiamo in qualche modo capito che il pubblico di cui il teatro, oggi, avrebbe bisogno, […] viene da noi, al Vinzavod, a frotte. E nei teatri va tutt’altro pubblico, in un certo senso più borghese. Lo si può capire, ma mi sembra che il futuro della nostra società, oggi, dipenda dal pubblico di Vinzavod.
- M.: È un bene che si sia parlato di questo. Adesso vado con il mio cavallo di battaglia […] A mio parere la modernizzazione di cui ho parlato molte volte, […] la modernizzazione della nostra vita, del comparto economico, del sistema politico, la modernizzazione per cui siamo pronti, deve essere attuata da persone aperte al progresso. Queste, di regola, sono persone aperte anche all’arte contemporanea. […] Certo. È necessario che ci siano spazi diversificati, specialmente in una città complessa come Mosca. […]
- S.: Grazie. Le lascio una specie di presentazione del mio progetto con una lettera. (Šenderova, 2011)
La conversazione è informale e progressista come da etichetta dell’epoca. Il beneplacito per uno spazio atto alla «sperimentazione» e alla «ricerca» arriva dal Presidente in persona, sebbene le malelingue non escludano la generosa intercessione dell’influente Surkov. PLATFØRMA avvia ufficialmente le sue attività con la performance Arias, il 10 ottobre 2011, per interromperle nel 2014. Vi furoreggia la Sed’maja studija, il Settimo studio-laboratorio selezionato e affidato a Serebrennikov dalla scuola dello MChT (per intenderci: il Primo è quello di Stanislavskij). I componenti, che ai tempi non avevano nemmeno concluso il loro ciclo di studi, sarebbero diventati una troupe autonoma e un ente non commerciale per la gestione dei finanziamenti statali. È in questa forma giuridica a far finire sotto processo il regista per appropriazione indebita. Ma ciò accadrà dopo. Per ora il regista continua la sua parabola e raggiunge l’apogeo l’anno successivo.
Il 7 agosto 2012 Sergej Kapkov, allora a capo del Dipartimento della cultura di Mosca, scuote l’intero mondo teatrale con nuove assegnazioni, tra l’altro designando Serebrennikov chudruk (CHUDožestvennyj RUKovoditel’, direttore artistico) del “Gogol’”. Il giovane e risoluto alto funzionario aveva già ripulito e rimodernato il Parco della cultura intitolato a Gor’kij e ambiva a rimodellare l’intera geografia (ossia cultura) cittadina [5]. Ovviamente adeguandosi al diktat del momento e non senza suscitare proteste e rappresaglie. Appresa la nomina, la vecchia guardia del teatro indirizza al neo (ri)eletto Putin e alle istanze sottoposte un’accorata lettera aperta:
Il Teatro drammatico di Mosca N.V. Gogol’ è condannato all’annientamento: […] è cambiata la direzione. K.S. Serebrennikov è subentrato al posto di S.I. Jašin – Artista del popolo della Federazione Russa, vincitore del Premio della città di Mosca per l’Arte e la Letteratura, Cavaliere dell’Ordine d’Onore, discepolo del grande regista A.A. Gončarov, docente universitario – ed è stata annunciata una radicale “riqualificazione” del teatro.
Nei giorni successivi abbiamo appurato dai media che una delle ragioni non dette dell’avvicendamento è la posizione geografica del teatro. Riteniamo che questo sia il motivo principale di quanto accaduto.
Una simile condotta, che ricorda un’“invasione immobiliare”, porterà all’annientamento di un teatro stabile statale accessibile a tutti (intento che non viene affatto celato) e allo scioglimento del nostro collettivo, a causa del quale circa duecento persone finiranno per strada.
Siamo sicuri che in questo modo è stato fatto il primo passo verso l’annientamento dell’istituto del teatro stabile e della grande tradizione della scuola teatrale russa, per la quale il TEATRO non è stato mai solo un edificio, ma un tempio, un’anima, una casa, dove la cosa fondamentale sono le persone. […]
La nomina di K.S. Serebrennikov, che incita al sovvertimento dei principi del sistema di K.S. Stanislavskij e rigetta il teatro psicologico russo, è una violenta spinta verso la scomparsa di tutto il teatro russo [6].
L’allusione alla «posizione del teatro» risulta emblematica: il “Gogol’” è a due passi da Vinzavod e la geografia gioca ancora un ruolo cruciale. Il resto è un copione già scritto; non a caso il drammaturgo Oleg Bogaev fa firmare una missiva praticamente identica agli attori-che-interpretano-gli-attori di Višnëvyj ad Stanislavskogo (L’inferno dei ciliegi di Stanislavskij, 2010), una pièce precedente (!) ai fatti contestati [7].
Serebrennikov non fa una piega neanche di fronte ai picchetti di protesta attorno al monumento di Gogol’; esorta a «non arrivare alle truppe antisommossa» e alla collaborazione; risponde con toni molto concilianti: «Capisco il vostro stato d’animo e persino lo giustifico…» (Medvedeva, Ivanova, 2012). E alla fine la spunta. Qualche mese dopo, nella notte fra il 2 e il 3 febbraio 2013, l’edificio apre i battenti con 00.00, una esclusivissima performance riservata al beau monde artistico della capitale. A mezzanotte in punto Maja Ivaškevič, classe 1925 e attrice della vecchia troupe, accoglie suggestivamente la nuova e declama: «Il teatro è aperto!» (video su YouTube).
Adesso si chiama “Gogol Center” (Гоголь-центр): il font rosso dell’insegna, i caratteri geometrici e la “L” rovesciata diventano un attributo imprescindibile della facciata, nonché un vero e proprio brand. Ad essere rivoluzionato non è comunque solo il nome. Il palcoscenico viene condiviso da più compagnie stabili: oltre agli interpreti rimasti, si esibiscono la SounDrama di Vladimir Pankov, la Dialog Dance di Kulagin e Estegneev, l’ormai famosa Sed’maja studija. L’immobile viene restaurato e restituito all’estetica originaria di deposito dalle inconfondibili pareti in mattoni; il foyer è uno spazio aperto con casse, guardaroba, libreria, bar, mediateca, angolo “instagrammabile” (#gogolcenteronelove). Pure il concept, tuttora esposto sul sito ufficiale, taglia i ponti con il passato ed è perfettamente in linea con il Piano di sviluppo di cui a qualche pagina fa:
Il Gogol Center è un teatro che non si limita alla scena, all’edificio, alla città. È contemporaneamente prodotto della e reazione alla nuova realtà. È un luogo di opinioni libere e dialogo aperto. Qui interagiscono e crescono praticamente tutti i generi dell’arte contemporanea: il teatro, la danza, il cinema, la musica, la letteratura. È uno spazio nel quale collaborano artisti in grado di parlare con onestà di cose importanti. Il Gogol Center è un teatro per chi è davvero interessato al mondo e all’uomo contemporaneo [8].
Coerentemente con il nuovo corso viene inoltre avviato il programma Gogol+:
Nel XXI secolo è impossibile fare teatro senza prestare attenzione a quanto succede intorno. Per questo una consistente parte del Gogol Center è il programma Gogol+, che permette di comprendere come l’arte contemporanea si sviluppi in varie direzioni. Da noi è possibile vedere importanti première di film russi e stranieri (parte dei quali non passa al cinema), assistere a concerti di popolari gruppi underground, partecipare a lezioni o a dibattiti riguardanti l’arte contemporanea. Inoltre, prima di ogni spettacolo il drammaturgo Valerij Pečejkin introdurrà diffusamente la pièce e il regista, per meglio comprenderne l’allestimento.
Nella prima stagione in cartellone sono presenti ben 19 spettacoli. Alcuni arrivano da PLATFØRMA (I fuori di testa tratto dal romanzo di Prilepin, le Metamorfosi di Ovidio, Il sogno di una notte di mezza estate), la maggior parte viene lanciata per l’occasione (ad esempio la riduzione di Bunin L’amore di Mitja e le gogoliane Sere a Dikan’ka). Serebrennikov non firma tutte le regie, coinvolge colleghi e artisti poliedrici; la scelta risulta vastissima: drammaturgia contemporanea (La macchina di Klavdiev) e classica (Medea di Euripide) – in entrambi i casi russa e straniera; pièce ispirate al cinema (di Visconti, von Trier, Fassbinder) o a prosa di varia natura (La bella di Mosca, Erofeev); opere (La caccia allo Snark traspone il poema di Carroll), musical (Il risveglio della primavera), spettacoli-concerto (Choron’ko canta Utësov) [9].
Il repertorio si arricchisce inarrestabile con 7 prime nel biennio successivo (2014 e 2015), poi 5 (2016 e 2018), 9 (2017), 4 (2019 e 2021), 2 (2020 e 2022). I numeri non sono mere cifre ma rendono conto della vitalità del “Gogol’” (e delle scene moscovite in genere): penso al boom di spettacoli nell’anno in cui iniziano i problemi giudiziari, alle conseguenze della pandemia, alla graduale ripresa. Il pubblico accorre e risponde con entusiasmo: “vse chotjàt popàst’” all’ultimo allestimento di turno e i biglietti restano sold out per mesi (lo prova l’esperienza non sempre fortunata di chi scrive). Le nuove produzioni sono quasi tutte virali e risulta impossibile menzionarle singolarmente. Mi limito pertanto a sommarie constatazioni.
In linea con gli esordi, Mërtvye duši (Le anime morte, 2014), Komu na Rusi žit’ chorošo (Chi vive bene in Russia, 2015), Russkie skazki (Fiabe russe, 2015) proseguono il dialogo con la tradizione e rileggono Gogol’, Nekrasov, Afanas’ev alla luce impietosa della contemporaneità. Non mancano gli scandali: gli uomini nudi e sessualmente confusi di Mašina Mjuller (Macchina-Müller, 2016) indignano gli spettatori per lungo tempo. La Sed’maja studija è (stata) una fucina di giovani talenti, ormai affermati e indipendenti: Filipp Avdeev, Aleksandr Gorčilin, Nikita Kukuškin, Rinal’ Muchametov – l’elenco è lunghissimo – calcano le scene del “Gogol’” anche in veste di registi e/o spopolano sul grande schermo peraltro in pellicole dello stesso Serebrennikov [10]. La trasversalità dei generi è una costante al “Gogol’”. Se si continuano a trasformare film in pièce, è vero pure il contrario. (M)učenik (Il Martire) nasce nel 2014 come opera teatrale (su testo di Marius von Mayenburg) per divenire il pluripremiato film Učenik (Parola di Dio, 2016). Si verifica lo stesso con il romanzo di Aleksej Sal’nikov Petrovy v grippe i vokrug nego (La febbre dei Petrov e altri accidenti), portato sulla scena (2020) e al cinema (2021). La sperimentazione di formati alternativi e compositi è particolarmente evidente nella brodilka S.T.A.L.K.E.R. (2014), una rappresentazione itinerante-immersiva assai coinvolgente (provato per credere), che conduce per i locali generalmente inaccessibili del teatro e mescola la versione originaria dell’omonimo film di Tarksovskij, il suo precedente letterario (Il picnic sul ciglio della strada degli Strugackij) e un videogame (GSC Game World) [11].
D’altro canto tale fluidità rispecchia lo spirito del Gogol+, che promuove mostre, lezioni, dibattiti, proiezioni, ed è incline a un ampio spettro di iniziative off e non sempre “allineate”. Il teatro ospita qualche edizione del premio letterario “Nos” (il “Naso” gogoliano!) e condivide l’adiacente Ploščadka 8/3 con collettivi più “sofferti” (Pauker, 2019). Tra essi spicca il Teatro.doc, sorto in tutt’altra geografia letteraria della capitale, privato della sede dove Serebrennikov muove i primi passi e via via avvicinatosi al centro gravitazionale del “Gogol’” [12].
Intervallo
Non mi soffermo qui sulle vicissitudini del “Dok”, che purtroppo non rimangono un caso isolato. Nel 2017 la Sed’maja studija – e quindi il Gogol Center e Serebrennikov – finiscono nell’occhio del ciclone giudiziario. Sorvolo pure su indagini, udienze, sentenze, ricostruite nel lavoro di Debora Bianca (2019-2020). Noto però che il chiassoso affaire consegue a una nuova variazione della geografia urbana e culturale. In altre parole muta il “parco della cultura”, ovvero l’esperimento di Sergej Kapkov preso a modello per l’intera capitale, cui si accennava in precedenza. La questione, va da sé, non risiede solo nello spazio – il Parco Gor’kij prima, la moderna friendly city poi – ma nelle sue potenzialità educative e performative, nelle sue premesse e ricadute ideologiche.
Secondo Oleg Kašin (2016) il rivoluzionario Kapkov istituisce una zona di compromesso, tra intellighenzia e potere, non troppo rischiosa e comunque impegnata; vi si può sperimentare l’anticonformismo (ad esempio al “Gogol’”) senza essere costretti a schierarsi apertamente (e politicamente). Inoltre, aggiunge Michail Jampol’skij (2018: 31 e 21), l’ex ministro è il primo a predisporre «uno spazio culturale integrato», dove sport, relax, ristorazione, musei, arte si fondono in un unicum, diventano industria culturale, life style, simbolo di (giusta) appartenenza sociale, poco rileva se intellettuale o à la page. Tali concetti vengono illustrati in un volume dal titolo significativo, Il parco della cultura: cultura e violenza nella Mosca di oggi, nel quale il filosofo prende spunto anche dalle traversie di Serebrennikov, per interrogarsi sull’essenza del “parco della cultura”. Esso sarebbe una dimensione squisitamente moscovita, in cui le differenze vengono appiattite e l’industria culturale (o stile di vita) convive con la “violenza”. Il paradosso, sostiene Jampol’skij:
Sta nel fatto che il parco della cultura attaccato dal potere è lo stesso parco che il potere ha edificato per sé tramite gli sforzi profusi dagli artisti-creatori. Mi ha stupito la quantità di Bentley e Rolls Royce all’ingresso del Gogol Center durante l’ennesimo spettacolo di grido. (Jampol’skij, 2018: 120)
Parafrasando la citazione, la violenza è parte integrante e integrata del sistema culturale. Difatti è proprio l’iter giudiziario del regista a rendere ogni sua prestazione «un evento di prima classe» ad uso, e soprattutto consumo, di sostenitori liberal o dichiaratamente dissidenti, di una bohéme moderata ma con stile, del jet set economico-politico [13]. Ancora – e si notino le macchine di lusso parcheggiate accanto al Gogol Center – non c’è soluzione di continuità fra quanto accade «fuori» e dentro le sue mura. Tutta Mosca, persino il processo al regista, è un palcoscenico. Geografia, scena, parco della cultura si intersecano pure nello slogan del “Gogol’” (e nel titolo del presente saggio): «un teatro nella città, una città nel teatro». Almeno fino a città contraria. La strategia di Kapkov è sopravvissuta al suo incarico e il sindaco Sobjanin se ne è servito per l’“abbellimento” della metropoli. Ma chi «ha edificato per sé il parco» può modificarne le leggi, che oggi paiono sempre più snaturate, ambigue e in corso di “ricontrattazione”.
Ultimo atto
Le solide argomentazioni filosofiche e sociologiche di Jampol’skij esulano dagli intenti del presente contributo e tuttavia permettono di comporre un’apparente contraddizione: Serebrennikov viene processato (e condannato), confinato a casa, ma non sollevato dal ruolo di chudruk. Dagli arresti domiciliari perfeziona le riprese del film Summer (2018), “partecipa” ai festival di Cannes e di Avignone, riesce persino ad “uscire” con lo spettacolo per smartphone 1000 passi con Kirill Serebrennikov [14]. Soprattutto, cura il suo teatro e, in piena tormenta giudiziaria, inaugura la stagione 2017/18 con Malen’kie tragedii (Le piccole tragedie puškiniane); il Festino in tempo di peste che le chiude getta una luce sinistra (e profetica) sulla contemporaneità tutta.
Aprile 2019: la misura preventiva viene sospesa; Serebrennikov torna sulla scena
Giugno 2020: Serebrennikov viene condannato
Marzo 2022: il reato è estinto anticipatamente; Serebrennikov lascia il paese
Il 25 febbraio 2021 il regista termina il proprio mandato tra le rimostranze dei colleghi russi e flash mob internazionali [15]. Gli subentra Aleksej Agranovič, già attore del medesimo teatro dalla eclettica e ragguardevole esperienza. Le attività proseguono nel solco dell’illustre predecessore, che nel settembre dello stesso anno firma la sua ultima produzione al “Gogol’” (Il Decamerone). All’inizio del febbraio 2022, in occasione del “compleanno” del Gogol Center, come da tradizione vengono presentati i progetti futuri. Tra le news del sito ufficiale se ne appurano ben quattro: Suchovo-Kobylin. Delo (su vita e opere del drammaturgo che dà il nome alla pièce), Neznakomcy v poezde (Sconosciuti in treno da un romanzo di Patricia Highsmith), Krasnyj (Il rosso dello sceneggiatore John Logan), Starrover (di Jack London). Non v’è ovviamente traccia di questi allestimenti nel cartellone attuale. In compenso, prima che il teatro chiuda, ne compaiono altri due, inediti e assai eloquenti. Sono gli ultimi spettacoli di quel “Gogol’”.
A maggio va in scena Beregite vaši lica (Salvate la faccia, regia di S. Savel’ev), un poema drammaturgico di Andrej Voznesenskij con un avvincente antefatto meta-teatrale. Nel 1970 l’opera guadagna la ribalta della trasgressiva Taganka di Jurij Ljubimov. Per solo tre repliche, poi la censura la vieta. Le due letture sceniche e contenutistiche differiscono. Ieri la chiave interpretativa era prevalentemente politica e il cantautore ribelle Vysockij intonava quella Caccia al lupo che tanto infastidì chi di dovere. Oggi il messaggio esistenziale è affidato al personaggio di Vlad Mamyshev-Monroe, il dissacrante performer trasformista, altrettanto “sconveniente”, scomparso nel 2013. Eppure sul palco c’è Veniamin Smechov, un artista formatosi alla Taganka; e gli esiti extrascenici non paiono così diversi [16].
Ja ne učastvuju v vojne (Non partecipo alla guerra) debutta, con la regia di Agranovič, il 10 febbraio 2022 (sì: due settimane prima) ed è incentrato sulla celebre raccolta di versi di Jurij Levitanskij, Cinematografo (1970). A cento anni dalla nascita del poeta «gli attori di generazioni diverse cercheranno e troveranno un punto di incontro tra presente e passato». Come ai primordi di 00.00, ma questa volta non sarà una festa.
Lo spettacolo conclude la stagione il 30 giugno. I rumors si rincorrono da un po’: verrà dispensata la dirigenza del teatro, che forse serrerà i battenti. Poi arriva la conferma. Il pubblico si precipita; quella sera, al “Gogol’” lasciano passare pure senza biglietto e montano degli schermi nel foyer, per consentire di assistere alla rappresentazione (iniziata con oltre 40 minuti di ritardo per gli applausi incessanti). L’edificio straripa: tutti vogliono dire addio al “centro di forza” (video su YouTube). Nel finale, dal palco, risuonano i discorsi del direttore artistico e amministrativo. Agranovič riesce persino a scherzare ed eppure ammette «Oggi chiudiamo la stagione. E chiudiamo anche il progetto del Gogol’ Center. Ma è un arrivederci. Su! Ricordiamoci questa data». Kabešev esordisce con «qualche parola sull’amore» e indugia su «memoria, sensazioni, emozioni che non ci possono togliere, né possono licenziare» [17]. I tempi sono inequivocabilmente cambiati, assieme alla geografia e alla retorica. Nessuno dei due fa riferimento al parco della cultura o alla città-teatro, entrambi insistono sull’essere umano e sui sentimenti. Non per nulla Serebrennikov reputa la chiusura del “Gogol’” «un vero e proprio assassinio. Uno dei tanti assasini, l’ennesimo» (Strada, 2022).
Sebbene emigrato e formalmente svincolato dal Gogol Center, Serebrennikov non può non pronunciarsi sui recenti accadimenti. Lo fa dai social e dal proprio canale Telegram, come con la lapidaria affermazione su riportata, tratta da un post tradotto per intero e contestualizzato da Olga Strada per «Huffington Post». I toni sono cupi ma non definitivi: il 2 luglio il regista indirizza alla «troupe e alla squadra del “Gogol’”» una Lettera, che mi piace riportare nella sua integrità:
Amici, non bisogna disperarsi. Non bisogna piangere. Non si devono rimpiangere i 10 anni di vita del Gogol Center. Si deve fare una bella festa, ballare, abbracciarsi e, magari, bere pure. Eccovi 10 ragioni per le quali bisogna farlo e basta:
1. 10 anni. Tanto è esistito il Gogol Center all’8 di via Kazakov. È un arco vitale sufficiente per ogni idea teatrale, che poi o muore o rinasce. L’idea di un teatro come luogo di libertà, scuola di umanità, spazio per l’arte contemporanea non è più possibile in Russia.
2. I 10 anni in cui il teatro è stato tirato su, in cui è andato in scena il nostro repertorio, sono stati molto difficili per il teatro russo, per la Russia, per noi, per me. Giorno dopo giorno, passo dopo passo, ci hanno privato della libertà. La libertà è l’aria senza cui ogni arte – e nello specifico, il teatro – è impossibile. La libertà è l’aria del teatro. Se ce n’è poca, si soffoca, viene l’affanno. L’asfissia. Per questo, nell’attuale mancanza di ossigeno, ritengo che smettere di illudere i nostri spettatori e me stesso sia l’unica cosa possibile. La libertà è finita. Completamente. È per questo che hanno chiuso il Gogol Center.
3. 10 anni sono trascorsi nella quasi totale indipendenza. Non abbiamo leccato i piedi, non siamo stati servili, non ci siamo sforzati di dimostrare assoluta lealtà; non siamo stati parte della propaganda. Le nostre leggi fondamentali sono state l’onestà e la verità. Questo teatro è esistito perché l’allora ministro della cultura Kapkov ha davvero voluto cambiare i teatri di Mosca. E io ho immaginato il Gogol Center così come è poi venuto fuori: vivido, audace, onesto. Voi siete qui, perché avete talento.
4. 10 anni sono un tempo sufficiente per dire quello che si voleva dire, per accertarsi dei propri sentimenti. E per noi il sentimento principale è stato l’amore. Verso la gente, gli spettatori, reciproco.
5. 10 anni sono un tempo abbastanza lungo per ogni vita, ma non così tanto lungo per non ricominciare tutto da capo. Sono convinto che noi tutti ce la faremo.
6. 10 anni sono stati per noi un’epoca di un impegno artistico intensissimo, spero anche interessante e pieno. Abbiamo fatto una cosa della quale non ci vergogneremo mai davanti alla storia o alla gente. Abbiamo fatto ottimo teatro.
7. Per 10 anni abbiamo vissuto molto bene, con gioia e spensieratezza. Gioivamo e lavoravamo. Abbiamo guadagnato non poco rispetto agli standard del nostro ambiente.
8. Per 10 anni il Gogol Center è stato una scuola di teatro, una scuola professionale; tutti noi, me compreso, abbiamo imparato tanto. Abbiamo vissuto tutti questi anni senza intrighi, assieme, come un gruppo, in amicizia. Questa è una cosa importante e preziosa per me.
9. 10 anni sono un buon lasso di tempo per capire qualcosa sulla vita, sulla gente, sul proprio paese. Grazie a voi non mi sono disamorato del mio, del nostro, lavoro. E del Teatro, che può comunque tantissimo. È vero, non si può difendere dalle persecuzioni. È vero, è fragile. È vero, non può contrastare l’arrogante strapotere dello stato. In una guerra totale è difficile restare integri. Ma noi ce ne andiamo a testa alta e non strisciando. Quanto meno ci abbiamo provato.
10. I 10 anni di via Kazakov 8 sono terminati. Siamo forti, giovani, talentuosi. Continuiamo a vivere. Siamo noi il Gogol Center. Il teatro sono le persone e non l’edificio. Il teatro è dentro di noi. Non è finito, non ha chiuso. Ha solo cambiato indirizzo. Per quanto ci provino, possono al massimo privarci di un luogo, ma non annientare il nostro teatro. Vedremo ancora cose belle e interessanti. E il cielo di diamanti. E il trionfo della giustizia. E la bellissima Russia del futuro. (canale Telegram Kirill and his Friends).
Con la stessa incrollabile fiducia, il 30 giugno Serebrennikov interviene nei saluti finali al Gogol Center in collegamento video dal Palais des Papes, da dove avrebbe aperto la 76a edizione del Festival di Avignone con Il monaco nero. Le sue parole non sembrano affatto un epitaffio: «La vita è veramente breve, l’arte è eterna. Siamo ancora giovani e in Russia, come sapete, bisogna vivere a lungo» (canale Telegram Kirill and his Friends).
Post factum
Il 4 luglio 2022 il Dipartimento della cultura di Mosca identifica il nuovo direttore del “Gogol’” in Anton Jakovlev, attore, regista, figlio d’arte. Le nomine che si susseguono ai vertici di altri teatri della capitale (Škola sovremennoj p’esy, Sovremennik…) anticipano l’ennesimo, e ugualmente radicale, cambio di rotta.
Allo stabile viene restituito il suo antico nome. Quasi gli ultimi 10 anni siano stati una parentesi: quel Sogno di una notte di mezza estate – “mai realizzato” e presente per intere stagioni in repertorio – che è stato materia di processo. O forse va in scena un ulteriore, ma non ultimo, avvicendamento, come nell’epigrafe di apertura. Del resto, a Mosca, nemmeno il monumento a Gogol’ è rimasto fermo e si è anzi duplicato, per radicarsi meglio sul boulevard intitolato allo scrittore [18].
E fortunatamente – insegna Charms – da dietro le quinte si sente ancora una eco.
Note
[1] Le denominazioni ufficiali sono rispettivamente: Peredvižnyj teatr dramy i komedii (1925); Moskovskij teatr transporta (1931); Central’nyj teatr transporta (1939); Moskovskij dramatičeskij teatr im. N.V. Gogolja (1959).
[2] Segnalo, per la cronaca, l’esistenza di esperienze simili a Flakon, Chlebozavod, Fabrika.
[3] Mi riferisco alle Leggi Federali FZ n. 83 dell’8/5/2010 e FZ n. 223 del 18/7/2011; la Koncepcija dolgosročnogo razvitija teatral’nogo dela v Rossijskoj Federacii na period do 2020 è consultabile su http://government.ru/docs/all/77737/ (ultima consultazione: 4 febbraio 2024).
[4] Cfr. anche il numero 32/2017 di «Teatr», interamente dedicato al Teatro dell’epoca di Medvedev.
[5] Limitandomi al solo ambito teatrale, noto che la designazione di Serebrennikov è parte di una riorganizzazione più radicale e chiacchierata: su decreto di Kapkov, Oleg Menšikov va al Teatro Ermolova, Grigorij Papiš al Teatro delle marionette, Irina Apeksimova al Teatro di Roman Vitjuk, Boris Juchananov all’Elektroteatr Stanislavskij.
[6] Il teatro è condannato. Lettera aperta dei lavoratori del Teatro Gogol’, http://classicalforum.ru/index.php?topic=6778.0 (ultima consultazione: 2 febbraio 2024).
[7] Dalla Lettera aperta dei quaranta: «Il nostro teatro, in quanto istituto culturale, è stato trasformato in una macchina per l’annientamento non solo della personalità ma anche dei valori culturali. […] All’autorevole e profondo teatro psicologico sono subentrate imitazioni facilmente deteriorabili e spettacoli commerciali. […] Il teatro russo, che per lunghi anni è stato il tempio dei sentimenti umani, è diventato il “desolato sepolcreto” di un’epoca spudorata. […] Quello che oggi sta succedendo al nostro teatro è una catastrofe culturale nel cuore della capitale» (Bogaev, 2012: 720-722).
[8] Il sito del Gogol Center è ormai offline.
[9] A titolo di esempio riporto per intero il repertorio della stagione 2012/13: Otmorozki (da Z. Prilepin, San’kja), Sed’maja studija e K. Serebrennikov; Gogol’. Večera, SounDrama e V. Pankov; Mitina ljubov’ (I. Bunin), V. Nastavšev; Metamorfozy (Ovidio), Sed’maja studija e K. Serebrennikov-D. Bovet; Ja pulemëtčik (Ju. Klavdiev), V. Pankov; Ochota na Snarka (Lewis Caroll), Ju. Lobikov, Sed’maja studija e K. Serebrennikov; Ëlka u Ivanovych (A. Vvedenskij), D. Azarov; Brat’ja (da Visconti, Rocco e i suoi fratelli), M. Durenkov e A. Mizgirëv; Son v letnjuju noč’ (W. Shakespeare), Sed’maja studija e K. Serebrennikov; Utësov, D. Choron’ko e I. Šagalov; Russkaja krasavica (V. Erofeev), Ž. Berkovič; Idioty (da von Trier, Idioti), V. Pečejkin e K. Serebrennikov; Strach/Bez stracha (da Fassbinder, La paura mangia l’anima), L. Strižak e V. Nastavšev; Mašina (Ju. Klavdiev), V, Pankov; Medeja (Euripide), V. Nastavšev; Probuždenije vesny, musical di S. Sater e D. Sheik, Sed’maja studija e K. Serebrennikov; Nevrastenija, E. Kulagin-I.Estegneev e Dialog Dance; Gamlet (W. Shakespeare), Sed’maja studija e D. Bovet; Marina (L. Strižak), Ž. Berkovič.
[10] Si tratta di attori largamente impiegati negli spettacoli del Gogol Center; ne ricordo solo alcune prove. F. Avdeev ha recentemente allestito Strach i otvraščenie v Moskve (Paura e delirio a Mosca, 2021), nel quale ha tra l’altro rivissuto l’attentato terroristico al Nord-Ost (era uno dei bambini in scena); l’attore ha inoltre curato la regia di Iolanta / opus (2016) e recitato in Summer (2018) assieme al collega A. Gorčilin; quest’ultimo è l’autore di Kislota (Acidi, 2018), pluripremiata pellicola-manifesto di una generazione. N. Kukuškin ha portato sul palco Božen’ka (Signormio!, 2019); lui e R. Muchametov sono noti al grande pubblico per aver recitato nel blockbuster di F. Bondarčuk Attraction (2017).
[11] Regia di E. Grigor’ev, drammaturgia di N. Belenickaja; qualche spezzone è disponibile su https://www.m24.ru/shows1/1/61283 (ultima consultazione: 3 febbraio 2024).
[12] Il Teatro.doc inaugura nel 2002 nel quartiere bulgakoviano per eccellenza (Sadovaja e dintorni), al vicolo Trëchprudnyj; nel 2015 è costretto a traslocare al Basmannyj, prima alla piazza Razguljaj, poi al vicolo Malyj Kazënnyj. La sua stabilità è stata compromessa dalle vicende che lo hanno interessato e dalla scomparsa dei fondatori Elena Gremina e Michail Ugarov. Oggi mantiene comunque due indirizzi, entrambi in altra zona: il DOC na ostrove (a Paveleckaja) e il DOC industrial (ad Aviamotornaja).
[13] Jampol’skij si riferisce in particolare al balletto Nureev (2017), immancabilmente accompagnato da grande scalpore; a riprova dell’ambivalenza dei meccanismi politico-culturali descritti riporta un commento di Putin su Serebrennikov e il balletto: «Se fosse una persecuzione e non un’investigazione, questo spettacolo non sarebbe stato allestito al Bolshoi. E lo è stato» (2018: 15-16).
[14] 1000 šagov s Kirillom Serebrennykovym è «Un viaggio per la Ostoženka e la Prečistenka […] come storia del rapporto fra artista e potere in Russia». Lo spettacolo itinerante, cui ogni spettatore può “assistere” passeggiando, scaricandolo sul proprio telefono, nel 2019 inaugura il progetto MXT. Il format innovativo non esclude il dialogo con la tradizione: la sigla ammicca a quella del celebre MXT Čechov. Il “cartellone” conta oggi circa una quarantina di pièce.
[15] Cfr. le lettere aperte dell’Associazione dei critici teatrali (ATK) e dell’Unione degli esponenti del teatro (STD), nonché il flash mob organizzato dai teatri tedeschi. Per una rassegna cfr. la voce «Serebrennikov» sul portale di «Teatr», http://oteatre.info/tag/kirill-serebrennikov/ (ultima consultazione: 3 febbraio 2024).
[16] Lo spettacolo è co-prodotto con il Centro Voznesenskij, generosamente sponsorizzato dal figliastro del poeta L. Boguslavskij, che ha tra l’altro ricostruito la storia del testo, smarrito e poi rinvenuto in versioni differenti. Per maggiori dettagli sugli spettacoli e i loro interpreti, cfr. per la Taganka: Abeljuk (2019); per il Gogol Center: Berdičevskaja (2022).
[17] Non è stato possibile rinvenire la versione scritta di questi discorsi disponibili in alcuni video condivisi dai presenti, per cui cfr. urly.it/3ppj4 (ultima consultazione: 4 febbraio 2024).
[18] Faccio riferimento ai due monumenti di Gogol’ che si sono alternati sul Gogolevskij boulevard. Ragioni prettamente ideologiche comportarono il trasloco del “Gogol’ seduto”, inaugurato nel 1909, nella poco distante casa dove lo scrittore morì; al suo posto, nel 1952, venne eretto il “Gogol’ all’in piedi”, che scatenò l’ironia dei contemporanei. (Pigarëva, 2008: 146-147).
Bibliografia di riferimento
– E. Abeljuk, Sud’ba spektaklja “Beregite vaši lica”, ili O tom, kak legko ubit’ iskusstvo, in «Znamja», n. 7, 2019.
– D. Alekseeva e N. Tomilin, Basmannaja: samyj molodëžnyj i tragičeskij rajon stolicy, 14 maggio 2021, www.daily.afisha.ru (ultima consultazione: 4 febbraio 2024).
(S. Berdičevskaja), Pomjanite Voznesenskogo Andreja, 7 giugno 2022, www.snob.ru (ultima consultazione: 3 febbraio 2024).
– D. Bianca, Un tribunale senza rimpianti: Kirill Serebrennikov e il “caso teatrale”, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Catania, a.a. 2019-2020 (Corso di Laurea in Lingue e culture europee, euroamericane e orientali, relatrice Prof.ssa Claudia Olivieri).
– O. Bogaev, Russkaja narodnaja počta. 13 komedij, Ekaterinburg, Ural, 2012.
– D. Charms, Casi, Milano, Adelphi, 2008.
– V. Čugunkina, Bereč’ lico, ne vrat’ i ne bojat’sja: kak “Gogol’-centr” stal zerkalom ėpochi, 4 luglio 2022, www.forbes.ru (ultima consultazione: 3 febbraio 2024).
– Ve. Erofeev, Moskva-Petuški, Moskva, Vagrius, 2001.
– M. Jampol’skij, Park kul’tury. Kul’tura i nasilie v Moskve segodnja, Moskva, Novoe izdatel’stvo, 2018.
– O. Kašin, Sergej Kapkov i vozvraščenie Bulata Okudžavy, in Kul’tura kak politika, Otkrytyj universitet, 2016.
– T. Medvedeva e A. Ivanova, Kirill Serebrennikov: Ne dovodite delo do OMONa, 7 settembre 2012, www.vm.ru (ultima consultazione: 3 febbraio 2024).
– A. Nikitin, Charmsiada, Sankt-Peterburg, LIK, 1998.
– N. Parchomovskaja, “2008-2012”: teatral’nye innovacii v dejstvij, in «Teatr», n. 32, 2017.
– A. Pauker, Kak ustroen Gogol school, “Teatr.doc”, Sojuz nezavisimych teatrov, 17 ottobre 2019, www.daily.afisha.ru. (ultima consultazione: 4 febbraio 2024).
– T. Pigarëva, Mosca. Autobiografia di una città, Milano, FBE edizioni, 2008.
– A. Šenderova, Kak stroili Platformu, in «Teatr», n. 32, 2017.
– O. Strada, Putin chiude il Gogol Center perché contesta l’invasione, 4 luglio 2022, www.huffingtonpost.it (ultima consultazione: 4 febbraio 2024).