[di Emanuele Regi]
La grande varietà ed eterogeneità che caratterizza le pratiche performative in spazi naturali – per uno sguardo aggiornato si veda il Dossier Teatro e Natura recentemente pubblicato su «Hystrio» (2023) – non rende affatto facile una loro corretta interpretazione secondo paradigmi storicizzanti, specie di fronte a una tradizione di studi, quale quella italiana, che non ha manifestato particolare interesse – seppur con qualche acuta eccezione (cfr. Gandolfi 2012, 2013 e 2015) – per queste forme, sebbene, come ricordava Fabrizio Cruciani (2005), il teatro sia sempre stato fatto più all’esterno che dentro gli edifici deputati. Altrettanto problematico è avere una tassonomia adeguata per queste tipologie performative che frequentemente riportano un lessico e si riferiscono a una elaborazione teorica di matrice anglosassone come site-specific, ecoperformance, ecodramaturgy (Pearson, 2010; Baiocchi e Pannek, 2020; Woynarski, 2020; Regi, 2023). La necessità di individuare dei fenomeni inserendoli in tassonomie preordinate è naturalmente propria di un lavoro storico-critico che, tuttavia e almeno in parte, ha interessato anche gli stessi artisti.
In questo paesaggio molteplice, si inserisce il progetto Sentieri di Azul Teatro ideato da Serena Gatti e Raffaele Natale [1]. Il progetto, nato nel 2012, viene definito dalla stessa regista e performer un «site-specific, ovvero specifico per il luogo» (Gatti, 2021: 18) e si presenta al pubblico come un percorso itinerante nel paesaggio, in cui figure, suoni, rumori, musiche e versi poetici si intrecciano a spazi, naturali o rurali, abbandonati. Dal 2012 ad oggi sono state realizzate undici versioni, corrispondenti ai siti abitati dalla performance [2]. Cosa che ci induce a riflettere su come il site-specific venga adottato come idea di creazione che muta, negli stimoli sonori, nei performer coinvolti e nelle idee estetiche, e per cui ogni luogo genera un evento unico e irripetibile.
Il lavoro sul sito/site non è del resto sempre uguale, ne possiamo individuare varie categorie: il site-generic lavora su una tipologia di luoghi simili, ma nessuno specifico, mentre il site-sympathetic lavora in una relazione strettissima con il sito, tanto che la performance ne è strutturalmente intrecciata (Wilkie, 2002). Il site-specific (a cui potremmo aggiungere le numerosissime declinazioni di site-related, site-oriented, site-conscious etc.) opera generando performance da/per un sito selezionato (Wilkie, 2002; Pearson, 2010) in cui lo spazio scelto funge da vero e proprio «attivatore mnemonico» (Harvie, 2005: 42) di piani temporali differenti: quello della performance e quello del ricordo. In Sentieri, accanto all’idea del site-specific, rivediamo un approccio vicino al “teatro dei luoghi” di Fabrizio Crisafulli che è caratterizzato dall’«idea stessa di “luogo” e lo specifico modo che il lavoro ha di relazionarsi ad esso, che segue gli stessi principi qualsiasi sia il sito prescelto» (Crisafulli, 2015: 21). La compagnia, infatti, ha elaborato una tecnica di lavoro applicata ai luoghi, una postura compositiva nella relazione con gli spazi, ma anche una certa consapevole metodologia di ricerca.
Lo sviluppo di un’azione coerente nel lungo percorso di Sentieri è anche riconducibile alla scelta specifica di spazi abbandonati. Nell’epigrafe poetica che apre il volume dedicato al progetto (non a caso sottotitolato Teatro in cammino verso luoghi da riscoprire), Gatti individua la pluralità di forme che li abitano e il carattere della marginalità assoluta che può essere fisica quanto interiore e personale.
Qui la realtà cade da un’altra angolazione./ Vi abitano figure fuori dal tempo,/ pietre, rami, muri, cartongesso,/ scritte, petali, catrame, chiglie di navi,/ daini, arbusti, rumori,/ insetti, demoni, santi, puttane./ I luoghi dimenticati si trovano in un margine/ poco più in là di un margine:/ possono essere a lato del cancello di casa, in fondo al viale,/ o dentro a un cuore quando è malato. (Gatti, 2021: 23)
L’operazione di Azul Teatro, quindi, lavora sia sui luoghi in quanto tali che nel modo umano di rappresentarli. D’altra parte, la categoria di abbandono implica una prospettiva strettamente antropocentrica poiché nessun luogo è mai abbandonato dalla natura e dai suoi eventi. L’abbandono e la perdita sono categorie umane, mentre la natura ritorna sempre.
Per natura intendo l’ambiente naturale, precisando che gli spazi di Sentieri possono essere non originariamente naturali: in quanto spazi abbandonati chiusi o dimenticati la natura spesso li va ad abitare, o torna ad abitarli, in un certo senso li rigenera. Infatti non è corretto parlare di spazi abbandonati, se non da una prospettiva umana, sono luoghi in verità estremamente vivi grazie all’intervento del mondo vegetale, animale e minerale. (Gatti, 2024)
Allora Sentieri pone le basi per un incontro o per la riscoperta di qualcosa che è perduto, tanto per una comunità – quello che Crisafulli chiama il «pubblico dei luoghi» che si relaziona «all’intervento attraverso quella parte della loro identità e della loro memoria» (Crisafulli, 2015: 119) – oppure a spettatori stranieri che entrano voyeuristicamente in uno spazio mai visto, scoprendone le caratteristiche plurali, marginali e i propri spazi interiori di attraversamento.
Perché ciò avvenga il gruppo ha elaborato una modalità di ricerca specifica che Serena Gatti ha chiaramente sistematizzato in vari contributi (Gatti, 2021, 2023 e 2024), mescolando l’anima da studiosa e ricercatrice con quella artistica. In questa sede tenteremo di scomporre e analizzare ulteriormente questa metodologia in una serie di “passi”.
Primo passo: il suono e il silenzio
Serena Gatti, come guardiana della soglia, si avvicina al pubblico sistemato in schiera al limitare di una zona boscosa nell’ex Parco Langer di Rovigo, nona tappa di Sentieri. La performer e regista ci spiega le “regole” con cui apprestarci al percorso che di lì a poco intraprenderemo: procedere in gruppo seguendo la guida, non fare foto e video, preservare il silenzio, astenendosi dai commenti e cercandone uno interiore. Oggi in una sala teatrale viene quasi naturale restare muti di fronte alla scena per udire parole e dialoghi degli attori, ascoltare musiche e rumori prodotti per e da uno spettacolo. Spostandoci in luoghi non deputati (specie in quelli naturali), spesso portiamo con noi – forti di stare all’aperto – il dinamismo urbano in forma di chiacchiericcio e frastuono. Si tratta di una involontaria forma di inquinamento acustico, a cui, però, dobbiamo cercare di porre rimedio ponendoci in ascolto. Eugenio Turri ben individua questa polarità: «[i]l tempo del paesaggio è il tempo del silenzio, il tempo dell’uomo è quello del rumore» (Turri, 2010: 21).
L’attenzione a preservare il silenzio aumenta la possibilità ricettiva dell’apparato uditivo, vero atto originario di qualsiasi lavoro in un luogo non deputato. L’ascolto si qualifica in Sentieri come «attivo e passivo […] in quanto dà vita ad un’azione che è proprio il ricevere, […] l’azione è proprio il ricevere, ovvero non un intervenire all’esterno ma un accogliere all’interno» (Gatti, 2021: 57). Il sound design della performance, curato da Raffaele Natale, viene calibrato proprio su questo assunto, in modo da mescolare la percezione esterna e interna dello spettatore, ma anche l’artificio col naturale del site-specific. Per questo in Sentieri «il disegno del suono va concepito ad ampio spettro, […] una vera e propria architettura sonora»; i suoni hanno «una funzione drammaturgica e condizionano la regia» (ivi: 69). Questo lo qualifica come «un lavoro di stampo musicale», in cui l’apparato sonoro è quindi a tutti gli effetti un generatore importante di tutta la macchina performativa «allacciandosi all’andamento paesaggistico e al camminare del pubblico che crea una metrica precisa» [3].
Secondo passo: drammaturgia e regia di un percorso, o del camminare
Lo spazio, specie a partire dalla seconda metà del Novecento, ha avuto un ruolo cruciale nell’influenzare la composizione drammaturgica e registica. Marco De Marinis ben descrive il modo in cui progressivamente viene posto come problema centrale del fatto teatrale, in particolare «nell’aver valorizzato lo spazio teatrale come spazio di relazione e di esperienza» ed «elemento, o dimensione, della drammaturgia, cioè un’entità drammaturgicamente attiva» (De Marinis, 2000: 31). Questa componente di drammaturgia spaziale attiva è ampiamente riscontrabile anche nella relazione con il paesaggio.
Occorre precisare che il concetto di paesaggio è di derivazione strettamente culturale – per non dire estetico-artistico: la stessa etimologia deriva dalla pittura (D’Angelo, 2022) – e pertanto anche il processo compositivo con esso non potrà prescindere dall’inevitabile prospettiva antropica, anche se non necessariamente antropocentrica. Sebbene la Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze 2000) lo definisca come «una determinata porzione di territorio, così come percepita dalle popolazioni», immediatamente dopo ne precisa il carattere ibrido derivato «dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (art. 1, corsivi miei). In questo senso la sfera storico-sociale e quella ecosistemica, generata da condizioni ambientali, appaiono strettamente intrecciate. C’è quindi uno scambio necessario che pone gli umani, e in questo caso gli artisti, a dover approcciarsi in modo poroso e ricettivo, agendo, come suggerisce Jean-Marc Besse, non sul ma con il paesaggio (Besse, 2020). In altri termini non si applicano «astrattamente le regole di quello che dovrebbe essere genericamente un paesaggio per essere tale», ma bisogna imparare «ad ascoltarlo, a leggerlo, a osservare a lungo i suoi spazi e i suoi ritmi specifici, per aiutarli in qualche modo a diventare quello che è» (ivi: 43).
Questo approccio ben emerge in Gatti che sottolinea come il paesaggio sia pluristratificato, composto da una sua drammaturgia fatta di «segni, corrispondenze, traiettorie, architetture, cromie, elementi materici, atmosfere, orizzonti, linee di fuga, luci, geometrie, strati, memorie, vegetazioni, terreni, animali, paesaggi sonori» (Gatti, 2023: 171-172). Il ruolo della drammaturgia della performance, allora, non può agire su un piano narrativo bensì «evocativo, dove la questione è cercare di far emergere e tradurre le suggestioni che nascono dalla relazione col paesaggio, dall’abitarlo, dal mettersi in ascolto» (ibid.).
Individuiamo la costruzione registica della performance in quello che Gatti definisce «geometria del sentiero», cosa che significa propriamente «[d]isegnare […] la forma del percorso» che può essere «un’ellisse, una spirale, un groviglio, una linea retta» (Gatti, 2021: 42). Ci sono una serie di variabili compositive che caratterizzano la geometria del percorso che dipendono, oltre che dalla forma del sentiero, anche dalla disseminazione delle azioni performative e dalla loro entità temporale e spaziale (apparizioni di presenze, momenti musicali e poetici, oggetti, libri). La regista individua così questi pattern: a stazioni, dove ogni accadimento ha luogo in un punto preciso; a stazioni dinamiche, quando l’evento performativo accompagna parte dell’itinerario; a stazioni intrecciate, in cui la dinamicità dell’azione prosegue per tutto il percorso in un flusso che va dall’interno all’esterno del sentiero; a stazioni intrecciate non costanti; infine, una mistura delle precedenti. Eppure, sebbene questa pianificazione pare possa orientare la creazione verso una regia forte, al contrario la componente spaziale è sempre all’erta e ogni «variazione del tratto crea una sorpresa, apre uno sviluppo drammaturgico» (ivi: 43). In altri termini, siamo di fronte a una modalità registica che crea delle strutture adattabili e metamorfiche, mentre l’entità drammaturgica è a tutti gli effetti un negoziato continuo con lo spazio.
Tale modalità considera, inoltre, un ruolo diverso dello spettatore. Infatti, se sul piano sonoro il pubblico deve aderire all’ascolto, in quello spaziale è chiamato a camminare, partecipando così alla costruzione drammaturgica dell’azione stessa. L’approccio al cammino è del resto un’estetica-etica fondamentale del “teatro natura” italiano, a partire dai suoi pionieri fino ad arrivare ad Azul Teatro.
Giuliano Scabia, sulla scorta dei suoi molti lavori in cammino (tra cui Gorilla Quadrumàno, Diavolo e Angelo), elabora l’idea dei «poeti camminanti» come coloro che «vanno in giro per ascoltare il suono dei piedi – o stanno fermi come alberi»: quando «vanno in giro cercano di non farsi vedere per meglio sentire cercando di non farsi vedere per meglio sentire», mentre quando stanno fermi sono «alberi e si sente battere la terra» (Scabia, 1995: 3).
Sista Bramini di O Thiasos TeatroNatura sviluppa una precisa tecnica e postura del camminare nello spazio naturale, definita in una relazione ecologica con l’esistente.
Entrarci, per incontrare il paesaggio da dentro e attraversarlo col corpo presente, in cammino. La prima domanda è: come camminare? Una risposta concettuale non toccherebbe il nocciolo della questione, così la domanda resta aperta mentre cerchiamo uno spostarsi capace di restare in ascolto degli esseri viventi circostanti, come pesci nell’acqua in perenne movimento, mentre troviamo un ritmo del camminare in contatto con gli altri ritmi che animano lo spazio intorno. Spazio scenico speciale: vivente. (Bramini, 2013: 18)
Altre compagnie fondano proprio su questi principi una parte della loro ricerca. Si veda la serie di DOM con L’uomo che cammina iniziata nel 2015 e molti altri loro progetti da Moto Celeste a Mamma Roma, oppure il progetto Andante di Faber Teater (2022).
Gatti descrive il camminare come un atto creativo, ma in modo molto simile all’ascolto, come un’azione in cui la parte ricettiva è più importante di quella “attiva”, tenendo sempre presente il contesto (ecologico) di relazioni.
Camminare, come creare, si compie in umiltà, è lontano dalla prodezza. È percorrendo a piedi l’humus che conquistiamo l’humilitas. L’umiltà di riconoscere pacificamente i nostri limiti, accogliere il mondo che ci viene incontro, non adagiarsi sui passi compiuti. Rimettersi in cammino per cercare ancora, trovare fermezza e resistenza: camminare richiede uno sforzo lieve, ma continuo. (Gatti, 2021: 55)
Alessandra Bernocco, nel suo resoconto critico di Sentieri #9, ben descrive la sensazione della camminata dalla quale emergono forme performative: «marciando in silenzio in sentieri sterrati o calpestando la macchia, malfermi, in fila indiana, attratti e distratti da voci, suoni, corpi che si rivelano o celano» (Bernocco, 2022). Essere malfermi sottolinea proprio quella disposizione all’incontro, all’umiltà che Gatti richiede per l’incontro ecologico con l’esistente, ciò che è oltre l’umano.
Terzo passo: Figure di paesaggi performativi
Le azioni che Azul Teatro dissemina nel percorso secondo geometrie variabili includono anche delle presenze, incarnate da performer sempre diversi (a parte qualche ritorno) ma anche da non-professionisti abitanti dei luoghi, sulla cui entità è importante ragionare. Silvia Mei ne parla come «figure che si amalgamano nel paesaggio o a volte contrastano perché “fuori luogo”, ma che stanno comunque dentro, nel quadro di visione che viene ritagliato da un tutto senza soluzione di continuità» (Mei, 2021: 191). Sull’immersione e l’adesione delle figure al paesaggio anche Renzo Francabandera descrive le modalità di queste apparizioni come «forma mimetizzata e impalpabile, che assume sembianze di un riflesso di luce sui ruderi», quindi forme naturali, ma anche antropomorfe e/o archetipiche come «ninfe silvestri o figure dell’inconscio» (Francabandera, 2022).
Mei utilizza il termine “figure”, rimandando a un’entità che restituisce a quelle presenze una certa indeterminatezza rispetto al termine più prettamente testo-antropocentrico di “personaggio”. I personaggi sono il risultato di un processo teatrale che ha un riferimento costante all’umano, finiscono per identificarlo nelle sue caratteristiche più precise tanto che, mediante verosimiglianza e imitazione, generano esseri possibili, quasi “reali”. Il teatro drammatico è l’habitat naturale del personaggio, dove autori e attori hanno provveduto a generare queste sculture di umanità. Il progressivo «indebolimento del personaggio è allo stesso tempo una causa e una conseguenza della crisi del dramma» (Ryngaert in Sarrazac, 2020: 112) in tutto il secondo Novecento. Dall’altra parte la centralità dell’umano (e del personaggio) viene messa in discussione anche dalla nuova idea di scena-paesaggio nella teoria del postdrammatico di Lehmann, dove «i corpi umani si inseriscono in un’unica realtà con gli stessi diritti degli oggetti, degli animali e delle linee energetiche», così che il «teatro consente di immaginare una realtà altra rispetto a quella in cui l’uomo ha il predominio sulla natura» (Lehmann, 2019: 88).
Quando il paesaggio non è solo quello ri-creato nel palco (come quello descritto da Lehmann), ma individuato come luogo trovato, lo stesso portato antropico del personaggio si mette in discussione con le numerose entità trovate (naturali, animali, architettonici, atmosferici ecc.), dove il performer deve aprirsi a un’altra categoria: «[l]a figura è il divenire dell’attore. Essa porta in sé la visione che gli deriva dal considerare l’esistenza e borda così il perimetro nel quale l’infinito prende forma in una geometria ossea» (Pitozzi, 2018: 43). Nel momento in cui il lavoro si sposta in spazi non teatrali, e ancor più in quelli naturali, la relazione con ciò che sta intorno comincia a diventare importante nel processo creativo. I performer in questo non fanno più riferimento a una «“vita individuata” (Bios)», propria del personaggio, ma a un’«“esistenza non-individuata” (Zoè)», dove «[d]iverse figure compaiono in una sola anatomia» (ivi: 44).
La zoè assume poi un’energia mitopoietica nel lavoro teatrale con lo spazio:
Nella metamorfosi dello spazio, su un piano mitico, si intravede per un attimo il dio della Zoe, l’essenza vitale che sempre si rigenera, ‘l’eterna vitalità’ di Dioniso, il dio dell’assenza che si fa presenza. È forse grazie a lui che a volte accade una connessione, l’apparizione di un altrove. È forse grazie a lui che il nostro teatro ritrova una sorgente originaria e una necessità che ancora, nonostante tutto, perseguiamo. (Gatti, 2023: 182)
Il corpo, in questo senso, non può più essere limitato a quello del performer (designato per incarnare il personaggio), ma deve aderire all’intero paesaggio poiché nell’ecoperformance, come suggeriscono Pannek e Baiocchi, «the body is an environment» (Pannek, 2022: 29). Serena Gatti sottolinea proprio questo, il «paesaggio è corpo del nostro corpo» e «in Sentieri non è uno spettacolo che sta di fronte, distaccato […] il performer e lo spettatore si trovano dentro, ne sono parte integrante» (Gatti, 2023: 172). In questo senso le figure si collocano come «emanazioni ed evocazioni dello spazio, come la parola e la musica, non sono abitanti narrativi dello spazio ma presenze oniriche»[4]. Allora le ninfe, le bianche maschere animali, la figura con il vestito rosso e l’ombrello, i corpi che si intrecciano con i rami e gli alberi, le mani che sbucano dalle crepe sul muro non sono altro che schegge figurali d’esistenza che si relazionano a un ecosistema performativo più ampio che è quello del paesaggio in divenire. La nascita delle figure è certamente legata al processo creativo di Sentieri, esse «nascono dal luogo, dall’ascolto minuzioso e lento con il paesaggio, dove chiediamo ai performer di scegliere uno spazio e da quello far sgorgare un’azione» (ibid.). Le figure e i materiali scenici emergono nella parte outdoor dove «i corpi acquisiscono un’autenticità maggiore, forse è il rapporto con lo spazio che li rende tali» (ibid.). Mentre nella parte di lavoro indoor, la compagnia lavora su alcune costanti che possono essere declinate in movimento, suono, canto, scena assieme a principi come spazio, forma, armonia, andamento, composizione.
Lavorare con la natura, tra processo e progetto
In conclusione, ci preme sottolineare che lo sforzo di Sentieri sia, oltre che estetico-artistico, anche produttivo. La politica della Compagnia è quella di renderlo accessibile a tutti con ingressi gratuiti o a costo simbolico. In questo senso un supporto alla dimensione processuale è «lavorare con strategie di creazione low cost o no cost»; dinamiche produttive che potremmo chiamare nature-based, che tendono a «utilizzare i materiali disponibili in loco rendendo l’evento unico sia per l’utilizzo dello spazio sia per quello di “oggetti di scena” che già [lo] abitano» (Gatti, 2021: 39).
La natura metamorfica del processo si trasla anche nelle dinamiche di progetto che, di volta in volta, applicano una notevole forma di resilienza a contesti politici e amministrativi diversificati, cambiando i soggetti di relazione per la realizzazione del percorso. Nelle prime due performance (#1 e #2) i rapporti con i luoghi si identificano soprattutto nella richiesta di permessi e in alcuni tentativi di rete, con un piccolo supporto economico del Comune di Calci nel secondo caso. Sentieri #3 inizia una relazione con un privato presso Villa Pepi. A partire da Sentieri #4 si tenta un legame più continuativo nel tempo (#6, #7, #8 e #10) con il Parco di San Rossore fino alla strutturazione di una relazione economica e progettuale con l’ente e il supporto di fondazioni e sponsor. Poi ovviamente la collaborazione con i festival che si occupano di paesaggio o territorio (Altofest per #5 e Opera Prima per #9). Infine, il caso di Sentieri #11, realizzato per una azienda vinicola privata e vincolato alla valorizzazione dello spazio dell’Isola del Giglio durante una presentazione alla stampa, come una forma vicina al mecenatismo [5].
Insomma per Sentieri ad essere site-specific non è solo la performance, ma la stessa forma di progetto che cerca interlocutori diversi in ogni luogo in cui avviene.
Note
[1] Azul Teatro è una compagnia fondata da Serena Gatti nel 2005 e che lavora su differenti forme della performance dal vivo: arti visive, musica, danza e parola poetica, lavorando sia per spazi teatrali che non teatrali. Gatti consegue il dottorato di ricerca in Studi Teatrali presso l’Università di Bologna e si forma come artista con importanti nomi del teatro contemporaneo, tra cui Rena Mirecka e Danio Manfredini. Raffaele Natale è co-creatore di molte performance di Azul, di cui è il sound-design, e cura in particolar modo l’architettura sonora.
[2] I numeri e i luoghi di Sentieri (Gatti 2024): Sentieri #1 Argine dell’Arno, Zambra, Pisa – 2013; Sentieri #2 Certosa di Calci, Pisa – 2014; Sentieri #3 Villa Pepi, Crespina, Pisa – 2015; Sentieri #4 Ex Villa Presidenziale, Parco San Rossore, Pisa – 2017; Sentieri #5 Majjistral Park, Malta – 2018 in occasione di Altofest Malta e Valletta Capitale della Cultura Europea; Sentieri #6 Ex Villa Presidenziale, Parco San Rossore, Pisa – 2018; Sentieri #7 Palazzina, Parco San Rossore, Pisa – 2019; Sentieri #8 Ex Villa Presidenziale e Parco delle Marinette, Parco San Rossore, Pisa – 2022; Sentieri #9 Parco Langer, Rovigo – 2022 in occasione del Festival Opera Prima; Sentieri #10 Ex Villa Presidenziale e Parco delle Marinette, Parco San Rossore, Pisa – 2023; Sentieri #11 Il Paradiso dei Conigli, Isola del Giglio, 2023.
[3] Intervista a Serena Gatti di Emanuele Regi (11 novembre 2023).
[4] Ibid.
[5] Il progetto si chiama “Paradiso dei conigli” e lavora con le comunità per riportare nell’isola e in modo diffuso gli antichi saperi di produzione del vino, che stanno scomparendo. In questo senso l’abbandono di pratiche immateriali sposa la poetica dei luoghi scelti per Sentieri.
Bibliografia di riferimento
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– A. Bernocco, Festival Opera Prima, 21 giugno 2022, https://www.liminateatri.it/ (ultima consultazione: 10/11/2023).
– S. Bramini, L’erranza in O Thiasos TeatroNatura: pratiche del camminare, in «Ricerche di S/Confine», 2013, n. 1 (Agire il paesaggio. Teatri, pensieri, politiche del ‘luogo’, a cura di F. Acquaviva e R. Gandolfi), pp. 17-34.
– F. Crisafulli, Teatro dei luoghi. Lo spettacolo generato dalla realtà, Dublino, Artdigiland, 2015.
– F. Cruciani, Lo spazio del teatro, Roma-Bari, Laterza, 1992.
– P. D’Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale [2001], Roma-Bari, Laterza, 2023.
– M. De Marinis, In cerca dell’attore. Un bilancio del Novecento teatrale, Roma, Bulzoni, 2000.
– R. Francabandera, Opera Prima: a Rovigo l’edizione 18 del festival di arti performative e della scena, 19 giugno 2022, https://www.paneacquaculture.net/ (ultima consultazione: 12/11/2023).
– R. Gandolfi, Niente pareti ma alberi. Pastorali, pageant, danze e altri sentieri delle ricerche teatrali all’aperto, prima e oltre il moderno, in M. Giacobbe Borelli (a cura di), TeatroNatura. Il teatro nel paesaggio di Sista Bramini e il progetto “Mila di Codro”, Spoleto, Editoria&Spettacolo, 2015, pp. 49-70.
– R. Gandolfi, Teatri e paesaggi: orizzonti contemporanei, fra teorie e prassi, in G. Iacoli (a cura di), Discipline del paesaggio. Un laboratorio per le scienze umane, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 209-224.
– S. Gatti, Drammaturgia antropocentrica del paesaggio, in «Torre di Babele», XIX, n. 19, 2024, (in corso di stampa).
– S. Gatti, Drammaturgia onirica del paesaggio. Introduzione di Salvatore Margiotta, in «Acting Archives», n. 25 (AAR 25, a cura di S. Margiotta, M. Valentino), 2023, pp. 169-195.
– S. Gatti, Sentieri. Teatro in cammino verso luoghi da riscoprire, Roma, Rogas, 2021.
– H.T. Lehmann, Il teatro postdrammatico, Imola, CuePress, 2019 (Postramatisches Theater, Verlag der Autoren, Frankfurt aim Mein, 1999).
– S. Mei, Figura, tempo e sguardo in “Sentieri”, in S. Gatti, Sentieri. Teatro in cammino verso luoghi da riscoprire, Roma, Rogas, 2021, pp. 189-193.
– J. Harvie, Staging the UK, Manchester, Manchester University Press, 2005.
– W. Pannek, Ecoperformance, in M. Baiocchi and W. Pannek (eds.), Ecoperformance, vol. 1, San Paolo, Taantheatro Companhia, 2022, pp. 15-29 (formato libro elettronico).
– E. Pitozzi, Acusma. Figura e voce nel teatro sonoro di Ermanna Montanari, Macerata, Quodilibet, 2018.
– M. Pearson, Site-Specific Performance, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2010.
– E. Regi, A Matter of Relationships: Dramatising, Staging and Planning Ecological Performances, in «Itinera», XII, vol. 25, 2023, pp. 192-207.
– E. Regi, Intervista a Serena Gatti, inedito, 11 novembre 2023.
– J.P. Sarrazac, Lessico del dramma moderno e contemporaneo, Imola, CuePress, 2020 (Lexique du drame moderne et contemporain, Belval, Circé, 2005).
– G. Scabia, Il Poeta albero, Torino, Einaudi, 1995.
– E. Turri, Il paesaggio e il silenzio [2004], Venezia, Marsilio, 2010 (nuova ed.).
– F. Wilkie, Mapping the Terrain: a Survey of Site-Specific Performance in Britain, in «New Theatre Quarterly», XVIII, n. 2, 2002, pp. 140-160.