ANIMALI DA PALCOSCENICO: tra scandalo e censure nella scena italiana del Duemila

[di Silvia Mei]   Dai tempi della replica di Genet a Tangeri di Magazzini Criminali, proposta nel mattatoio di Rimini per Santarcangelo 1985, il teatro non ha mai urtato così tanto – e soprattutto in Italia – la sensibilità pubblica come negli anni Zero. Vivi o virtuali, in presenza o in forma di simulacro, gli animali in scena aprono la ferita tragica dell’indifferenza originaria tra uomo e animale, e scoprono il nervo scoperto del consumismo e della sovrana «macchina antropologica» (Giorgio Agamben) che regola, nella società occidentale, i principi della vita. Con la sua innocenza da creatura indifesa e nello stesso tempo con la sua ferocia bestiale, l’animale ci mette di fronte alla nostra essenza predatrice, all’istinto arcaico del cacciatore, che abbiamo rimosso nella catena di “smontaggio” dei macelli (non è qui che l’animale viene sfigurato e reso irriconoscibile?); oppure addomesticato, facendo dei più vari animali dei fedeli compagni, dei vicini mansueti ma pur sempre incattiviti (da collari, museruole, gabbie e gabbiette, vasche, recinti, ruote…) in ambienti tutt’altro che ospitali. La scena contemporanea ci mostra così, in modo accanito e provocatorio, una faccia del selvatico che scuote, indigna, scandalizza: perché ci disincanta e ci rammenta quanto ogni giorno perpetriamo sui… Continua a leggere

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